Le prime banche mondiali? Quattro su cinque sono cinesi

Fino a qualche anno fa il settore bancario mondiale era caratterizzato da una leadership anglosassone, in particolare americana. Oggi è cambiato tutto: fra i cinque più grandi gruppi del mondo, quattro sono cinesi. A rilevarlo è l’edizione 2018 del focus sulle Banche internazionali realizzato da R&S Mediobanca. Lo studio analizza i risultati dei 67 maggiori gruppi bancari internazionali: 28 hanno sede in Europa, 15 in Giappone e altri 14 negli Stati Uniti. La Cina è presente con le 10 maggiori banche.

 

La top ten

Il podio è in mano alla Cina: la Icb of China è al primo posto dal 2016, superando per attivi la statunitense Jp Morgan Chase, oggi scivolata al quarto posto. Il totale attivo di Icb ha raggiunto nel 2017 i 3.343 miliardi di euro, 800 in più rispetto alla ex prima Jp Morgan. Al secondo posto c’è China Construction e al terzo Agricultural bank of China. A intervallare la classifica tutta cinese è, al quarto posto, l’americana Jp Morgan Chase. Al quinto tornano i cinesi della Bank of China.

Completano la top ten delle banche più grandi del mondo la giapponese Mitsubishi, l’inglese Hsbc, l’americana Bofa e le francesi Bnp Paribas e Crédit Agricole.

 

Il boom della Cina: i motivi

Da un lato le banche cinesi seguono e accompagnano lo sviluppo del Pil del loro Paese che, pur avendo rallentato la corsa rispetto a qualche anno fa, nel 2017 è cresciuto di quasi il doppio rispetto a quello americano e più del triplo rispetto all’europeo. Inoltre, non bisogna dimenticare che dopo la crisi, molte banche hanno iniziato a cedere attivi, in tutto il mondo, favorendo l’espansione cinese.

 

Usa-Europa: diminuisce lo scarto

Progressi che confermano come il gap tra banche statunitensi ed europee si stia riducendo. Complice la riforma fiscale USA, il risultato netto nel 2017 è raddoppiato in Europa (da 34,7 a 69,9 miliardi) e diminuito del 21,6% tra le banche statunitensi. Nel 2017 i ricavi sono comunque cresciuti sia in Europa (+1,7%) che negli USA (+3,1%), così come le commissioni nette (+4,3% nel Vecchio Continente, +5,2% in America) e la negoziazione (+22,2% in UE, +7,2% negli USA).

Nonostante questi miglioramenti, il totale del risultato netto europeo rimane decisamente inferiore a quello statunitense (410,9 miliardi di euro contro 625,6 miliardi di euro). Questo sia a causa dei maggiori costi operativi sia per la minore redditività. Da entrambe le parti dell’Atlantico rimane poi l’ombra degli Npl e dei derivati. Per tutti e due, la situazione è in netto miglioramento.

I crediti deteriorati diminuiscono in Europa dell’8,4% rispetto all’anno precedente, per quanto nelle cinque maggiori italiane banche la componente rispetto al numero totale di crediti verso i clienti rimane del 14,8% (negli Stati Uniti del 2,4%), oltre la soglia del 10% indicata dalla Bce. Nel confronto pesa anche l’effetto della riforma fiscale proposta dall’amministrazione Trump: la norma entrerà a pieno regime solo quest’anno, ma una parte dell’impatto si misura già nel 2017.