La Bce contro gli Npl: il sistema bancario italiano risponde

Si scrive Npl, si legge “Non performing loans”, vale a dire “Prestiti non performanti”. Solo tre lettere per indicare i crediti deteriorati presenti anche nei bilanci degli istituti più solidi e ai quali la Vigilanza della Banca centrale europea ha deciso di dichiarare guerra. Con l’entrata in vigore del famigerato addendum, il braccio operativo della Bce chiede alle banche di coprire interamente i crediti di bassa qualità in tempi rapidi. Tale accelerazione potrebbe mettere in difficoltà gli istituti italiani, provocando un’immediata contrazione del credito erogato a famiglie e piccole e medie imprese. Ecco cosa sta succedendo e quali conseguenze hanno i nuovi vincoli europei sul sistema creditizio.

 

Cosa sono i crediti deteriorati

Un passo indietro è d’obbligo per chiarire di cosa parliamo quando parliamo di Npl, termine noto agli addetti ai lavori, meno ai semplici risparmiatori. Rientrano nella categoria tutti quei prestiti che sono stati erogati da una banca e risultano poi di difficile o incerta riscossione. Per semplificare: quando un cliente non riesce a rispettare la scadenza di restituzione delle rate di un prestito (per esempio, un mutuo) oppure quando non è in grado di restituire parte del capitale, la banca può rifarsi sul bene dato a garanzia dell’operazione, ma con tempi lunghi e modalità di riscossione complesse.

Come riferisce la Banca d’Italia, alla fine del 2017 “i crediti deteriorati delle banche italiane ammontavano a 349 miliardi di euro al lordo delle svalutazioni già contabilizzate. Di questi, 215 erano relativi a debitori insolventi (sofferenze; in inglese bad loans). I crediti deteriorati al netto delle svalutazioni erano pari a 173 miliardi; le sofferenze nette a 81 miliardi (rispettivamente pari al 9,4 e al 4,4 per cento dei prestiti netti). Le sofferenze facevano capo per circa tre quarti alle imprese, per la parte restante alle famiglie. Il valore stimato delle garanzie reali detenute dalle banche a fronte delle sofferenze era pari a 92 miliardi”. Come spiega ancora Bankitalia, il problema è in gran parte “il risultato dell’eccezionale fase recessiva che ha colpito l’economia italiana negli ultimi anni e dei lunghi tempi delle procedure di recupero dei crediti. La doppia recessione che ha colpito il nostro Paese tra il 2008 e il 2014 ha inciso pesantemente sui bilanci delle banche italiane e sulla qualità dei loro prestiti”.

 

Cosa prevede l’addendum

Per garantire che il sistema bancario europeo sia nel complesso stabile e omogeneo, il 20 marzo 2017 la Bce ha emesso delle Linee guida sul trattamento dei crediti deteriorati, integrate poi con l’Addendum del marzo 2018. Come si legge nel preambolo del documento, l’obiettivo è quello di “contribuire a rafforzare i bilanci bancari, permettendo agli intermediari di tornare a concentrarsi sulla propria attività principale, che in particolare consiste nel finanziamento dell’economia”, precisando che la vigilanza della BCE si aspetta di “valutare i livelli di accantonamento prudenziale di una banca per le esposizioni deteriorate”.

Le disposizioni, non vincolanti e attive dal 1° aprile 2018, riguardano gli Npl che verranno generati in futuro, non quelli già esistenti e la richiesta fatta alle banche è di coprire interamente i crediti di bassa qualità entro due anni (nel caso di quelli non garantiti), entro sette anni (nel caso di quelli garantiti).

Il capo della supervisione unica della Bce, Danièle Nouy, è stata in prima linea per difendere l’Addendum dalle critiche della politica – in primis che i regolatori siano inflessibili quando si parla di rischio al credito da parte delle banche italiane, ma non altrettanto severi quando si tratta di titoli finanziari illiquidi verso cui sono molto esposte le banche francesi e tedesche. Parlando al Parlamento Ue ha spiegato: “Non vedo alcuna ragione che ci impedisca di agire ora perché la crescita è tornata e ci consente” di affrontare la questione. Secondo Nouy è nel momento in cui l’economia va bene che si accumulano le sofferenze, quindi è bene agire preventivamente. Nonostante le sofferenze siano calate da 1 trilione iniziale ai 700 miliardi di adesso, “sono ancora molto molto alte quindi qualcosa va fatto, non c’è possibilità di non affrontare” il problema. “È utile per le banche e certamente per i contribuenti”, ha detto ancora Nouy.

Secondo l’Abi, l’Associazione bancaria italiana, l’addendum va tuttavia migliorato. Il comitato esecutivo dell’Abi ha infatti rilevato che “i contenuti dovranno essere valutati e giuridicamente inquadrati rispetto alle modifiche del quadro normativo europeo, in necessario raccordo con le proposte della Commissione sul trattamento delle esposizioni verso i crediti deteriorati, superando i disallineamenti oggi prospettati”. Questo per “assicurare la coerenza tra i diversi livelli delle fonti normative e il pieno raccordo tra le diverse autorità europee”.

 

Come si stanno muovendo le banche italiane

In ordine di tempo Intesa Sanpaolo è stata la più recente, tra le banche italiane che in questi ultimi due anni hanno ripulito i propri bilanci da una buona parte della mole dei crediti deteriorati accumulati nel corso della crisi. Ad aprile l’annuncio della vendita in blocco di 10,8 miliardi di sofferenze, la terza per dimensione in Italia dopo quella da 24 miliardi fatta da Mps e quella da 17,7 miliardi di Unicredit. Pacchetti per diversi miliardi sono usciti anche da Banco Bpm, che vuole arrivare al 2020 con 17 miliardi di crediti deteriorati in meno rispetto al 2016. Il pressing della Bce non ha risparmiato nessuno: da Carige e Creval, costrette a ricapitalizzarsi per ridurre l’incidenza dei crediti dubbi, a Ubi Banca e Bper, tra le più restie a cedere a sconto crediti anziché cercare di recuperarli internamente.  Ma Intesa non è stata la sola a prendere il toro per le corna: ecco alcune delle più rilevanti operazioni di dimissioni di crediti realizzate delle banche italiane e il prezzo di cessione, calcolato in percentuale sul valore nominale dei crediti: 1) Intesa Sanpaolo: 10,8 mld al 28,7%; 2) Unicredit: 17,7 mld al 13%; 3) Mps: 24 mld al 21%; 3) Le quattro Bad bank: 8,5 mld al 17,6%; 4) Carige: 1,2 mld al 22,1%; 5) Carife: 343 mln al 19%; 6) Good Bank (Banca Marche, Etruria Carichieti): 2,2 mld al 32%; 7) Banco Bpm: 693 mln al 37-38% (stima).