La Nutella ha conquistato il mondo: i prodotti dolciari a marchio Ferrero sono presenti, in modo diretto o tramite distributori ufficiali, in più di 170 paesi. Con 23 stabilimenti produttivi e 91 società consolidate a livello globale, il gruppo di Alba ha chiuso l’esercizio 2016/2017 con un fatturato consolidato di 10,5 miliardi di euro, con un incremento dell’1,5% rispetto all’anno precedente. Numeri record che sbocciano dalle intuizioni della dinastia più singolare dell’industria italiana del dopoguerra.
Gli inizi e la vocazione all’internazionalizzazione
Il capostipite Pietro Ferrero e poi il figlio Michele sono rimasti sempre lontani dagli stereotipi dei milionari. Quest’ultimo in particolare, nonostante il riconoscimento di “Forbes” come uomo tra i più ricchi del Belpaese e del globo, ha sempre preferito la bottega ai riflettori, lui che dopo gli studi in ragioneria si ritrova giovanissimo a prendere le redini della ditta di famiglia a causa della morte del padre, nell’estate del 1949.
Venuto su da una famiglia semplice in una delle zone più povere dell’Italia post bellica, creò una fortuna inventando il dolce a misura dei bambini e degli operai del posto. Troppo poveri per ambire a prelibatezze ricercate, impazzirono quando assaggiarono il giandujot del pasticciere Ferrero, un dolcetto che costava poco perché si produceva con gli scarti di cacao e cioccolato svizzero mischiato alle nocciole che si producevano nella provincia di Cuneo. Il risultato era una pasta cremosa che poteva essere consumata a tocchi come il salame o in crema da spalmare. Dopo i primi esperimenti fortunati la Nutella vide la luce con un nome mezzo inglese (nut, radice di hazelnuts, nocciole) che già conteneva la voglia e la lungimiranza di guardare a mercati più grandi della piccola piazza italiana.
“Se non saremo qualcuno in Europa, non saremo niente neanche in Italia”, diceva nei lontani anni ’50, quando la sua azienda sbarcò in Germania, ad Allendorf. Un trampolino verso il resto del mondo, conquistato un pezzo alla volta, grazie a idee geniali. Dai Mon Cheri (1956) ai confetti Tic Tac (1969) passando per il Kinder Cioccolato (1968) per poi andare a Kinder Sorpresa (1974) e ai Ferrero Rocher (1982). Idee, lavoro e low profile le parole d’ordine del suo successo, abbinate sempre all’attenzione per i valori umani, per il rispetto della sua terra d’origine e dei suoi dipendenti, per i quali arriva persino ad acquistare alcuni appartamenti in Liguria in cui mandarli in vacanza.
È dalla testa di Michele Ferrero che nel 1983, non a caso, nasce la Fondazione Ferrero. “Lavorare, creare, donare” i verbi che compaiono nel luogo di questo ente, che abbina l’impegno per gli ex dipendenti alla promozione di iniziative culturali e artistiche. Le Imprese Sociali, create a partire dal 2005, sono una diretta conseguenza di questa filosofia: vere e proprie “imprese”, basate su una concezione imprenditoriale, ma che agiscono con spirito sociale, perché finalizzate a creare posti di lavoro nelle aree meno favorite dei Paesi Emergenti, come India, Sud Africa e Camerun.
Quando è scomparso, nel febbraio del 2015, il “Financial Times” lo ha salutato come “il Willy Wonka dei cioccolatai della vita reale” e gli ha dedicato mezza pagina. Il segreto del suo successo riassunto in poche efficaci parole: “La sua più grande abilità era conoscere cosa vogliono i bambini”.
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La stagione delle acquisizioni e l’eredità della terza generazione
A guidare l’impero di Alba è oggi Giovanni Ferrero, classe 1964. Cresciuto a Bruxelles, ha condotto buoni studi in Europa per poi specializzarsi negli Usa. Dal 1997 e fino alla primavera del 2011 ha condiviso con il fratello Pietro la responsabilità di amministratore delegato della Ferrero international, la holding del Gruppo, con sede in Lussemburgo. Ma dal tragico 18 aprile 2011, quando il primogenito è morto improvvisamente, ha preso il timone e l’ha proiettata verso ambizioni ancora più grandi.
Dopo l’acquisto di uno dei più grossi produttori mondiali di nocciole, il turco Oltan, nel 2014, è del 2017 la prima acquisizione che fa discutere: con un investimento da 115 milioni di dollari Ferrero acquisisce il colosso americano dell’industria dolciaria Fannie May Confections Brand. L’anno successivo compra i dolci Usa Nestlé per 2,8 miliardi di dollari. Per una volta non è un’azienda italiana a essere fagocitata da una straniera, ma al contrario a mettere le mani su 20 storici brand americani, tra cui marchi di cioccolato iconici come Butterfinger, BabyRuth, 100Grand, Raisinets, Wonka e il diritto esclusivo sul marchio Crunch negli Stati Uniti così come i brand di caramelle SweeTarts, LaffyTaffy e Nerds.
Il posto come terzo produttore dolciario al mondo è conquistato, ma Giovanni Ferrero non si accontenta di distribuire al mondo 365mila tonnellate all’anno di Nutella e commenta serafico: “È un inizio promettente”.