I grandi della moda alleati per l'ambiente: che cos'è e chi ha firmato il "Fashion Pact" per la moda sostenibile globale

“L’industria della moda è una delle più grandi, più dinamiche e più influenti al mondo, con un giro d’affari annuo di 1,5 trilioni di dollari. Ed è uno dei settori con l’impatto più pesante: proprio per questo dovrebbe ricoprire un ruolo di primo piano nel passaggio verso un futuro più sostenibile“. Inizia con queste parole il Fashion Pact, il patto firmato lo scorso 23 agosto 2019 da trentadue aziende leader globali nel settore fashion e tessile, che delinea una serie di obiettivi condivisi. La coalizione include gruppi e marchi del lusso, della moda, dello sport e del lifestyle, insieme a fornitori e retailer. L’accordo si focalizza su tre aree principali per la salvaguardia del pianeta: arrestare il global warming, creando un piano d’azione per azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050. Secondo obiettivo: ripristinare la biodiversità, per ristabilire gli ecosistemi naturali e proteggere le specie. Infine, proteggere gli oceani, riducendo l’impatto negativo del settore mediante iniziative concrete, quali la riduzione graduale della plastica monouso.

 

I protagonisti

Tra i 32 marchi ci sono le tedesche Adidas e Puma, la danese Bestseller, le inglesi Burberry, Stella McCartney e i rivenditori di lusso come MatchesFashion.com e Selfridges; le italiane Ermenegildo Zegna, Giorgio Armani, Moncler, Prada e Salvatore Ferragamo; le americane Capri Holdings, Nordstrom, Gap, Pvh, Everybody&Everyone, Nike, Ralph Lauren e Tapestry. E ovviamente i ‘padroni di casa’, Kering con le altre francesi Carrefour, Chanel, Fashion3, Galeries Lafayette, Hermes, La Redoute. Ma hanno aderito anche gruppi di paesi esterni al G7 come la Svezia (H&M) o la Spagna (Inditex) e non si sono tirati indietro i colossi cinesi Fung Group e Ruyi. Questo accordo è stato fortemente voluto dal presidente francese Emmanuel Macron che, già ad aprile, aveva affidato al presidente ed amministratore delegato del gruppo Kering, François-Henri Pinault, il compito di riunire i big del tessile e della moda. I 32 firmatari hanno dichiarato di voler coinvolgere nel loro sforzo almeno il 20% dell’industria della moda globale, dal momento che i tempi per poter intervenire efficacemente a contrasto del cambiamento climatico sono limitati.

 

L’impatto del comparto

Il comparto tessile-abbigliamento è uno dei più inquinanti dell’industria dopo quello dell’estrazione degli idrocarburi: è responsabile di almeno l’8% delle emissioni globali, di milioni di litri di acque reflue, della creazione del 25% di tutti i nuovi composti chimici (per il finissaggio degli indumenti) con il 60% degli indumenti che finiscono negli inceneritori entro i primi 12 mesi dal loro acquisto. Senza contare quelli che non vengono mai acquistati: circa il 3% della totalità degli abiti prodotti finisce nella pattumiera per errori di fabbricazione, per cifre impressionanti di 80-100 miliardi di abiti ogni anno. Dietro ai capi che sfilano in passerella e soprattutto a quelli esposti nei templi del fast fashion c’è un’articolata filiera di fornitori di materie prime, materiali finiti, semi-finiti e reagenti chimici. Il tessile-abbigliamento nel suo complesso vale 1.3 trilioni di dollari e impiega 300 milioni di addetti in ogni parte del mondo. La produzione del pret-à-porter delle grandi catene di abbigliamento, impatta in maniera molto negativa anche sulla quantità di rifiuti marittimi, in termini di 22 milioni di tonnellate di microfibre scaricate negli oceani, sul buco dell’ozono e sui cambiamenti climatici. Le emissioni di gas serra nella produzione di abiti sono impressionanti: 1,2 miliardi di tonnellate all’anno.

Il “patto sostenibile” della moda è aperto a tutti: si spera che molte aziende seguano l’esempio delle 32 fondatrici.