Green Deal europeo, il cambio di passo economico e sociale per i prossimi dieci anni

Il treno del Green Deal europeo è partito. Il Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha presentato lo scorso dicembre il suo piano sul clima approvato all’unanimità dalla Commissione. Ma la vera sfida sarà convincere tutti gli Stati membri. Il piano si pone un obiettivo ambizioso: rendere l’Europa il primo continente a zero emissioni entro il 2050, stimolando l’economia, migliorando la salute e la qualità della vita delle persone, prendendosi cura della natura e migliorando l’ambiente. Il primo appuntamento è a marzo – ha dichiarato Von der Leyen – quando presenterà la proposta della Commissione sul clima, la prima legge europea sul clima, con un piano per la riduzione di almeno il 50 per cento delle emissioni nocive per il 2030. Entro giugno 2021 dovrebbe essere rivista dai paesi membri tutta la legislazione che ha a che fare con queste materie, compresa la direttiva sulle tasse per l’energia. L’obiettivo? Far sì che entro ottobre del prossimo anno gli Stati membri si dotino di un piano nazionale per l’energia, l’ambiente  e il clima che abbia l’ambizione di puntare verso la neutralità climatica nel 2050.

 

Il futuro “green” dell’Europa

L’idea della nuova presidente della Commissione è anche di inserire il clima quale criterio per giudicare le manovre economiche degli Stati membri: non solo deficit e debito, ma anche investimenti verdi. Investimenti che non è detto andranno scorporati dal deficit, come chiedono il Commissario all’Economia Paolo Gentiloni e la parte socialista della Commissione. La transizione a un’economia a zero emissioni, secondo la Commissione, dovrebbe regalare il 2% in più di Pil al blocco economico entro il 2050. Nel bilancio 2014-2020, la Ue ha destinato il 20% della sua spesa (206 miliardi di euro) in programmi legati al climate change. E con la partecipazione dei privati, Von der Leyen vuole arrivare a mobilitare mille miliardi in investimenti “verdi”. Ma, d’altra parte, molti saranno anche i “costi”. Servirà una trasformazione radicale del sistema economico e del modo di vivere dei cittadini. Le stime parlano di costi per 260 miliardi di euro all’anno (pari all’1,5% del Pil aggregato comunitario) e nuovi investimenti verdi per mille miliardi di euro.

 

Le rotture

Come è già capitato in passato, anche questa volta l’Europa non è unita. Se Germania, Francia, Svezia, Olanda e Italia spingono in questa direzione, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria ed Estonia puntano i piedi. Lo scorso giugno i quattro Paesi, che si sostentano completamente grazie a combustibili fossili, carbone in testa, si sono rifiutati di sottoscrivere l’impegno a raggiungere la “carbon neutrality” nei prossimi 30 anni.

 

Le perplessità dell’industria

Anche l’industria europea, in particolare quella tedesca, si sente minacciata dal Green Deal europeo. Secondo il quotidiano tedesco Spiegel, il capo della Confindustria tedesca (Bdi) Dieter Kempf ha avvertito che misure climatiche così rigide porterebbero “a crescenti incertezze dei consumatori e delle aziende”. Secondo il capo del Bdi, “la capacità di gestire il futuro dell’Europa non dipende solamente dagli obiettivi ecologici del Green Deal”. Anche la competitività deve essere un fine altrettanto importante, secondo Kempf.