Al di là di ogni possibile previsione, la fine del “bull market” è stata segnata da una pandemia globale nota a tutti come COVID-19. Nelle ultime settimane i listini europei e americani segnano perdite comprese tra il 30% e il 40% e presentano un contesto di volatilità di mercato senza precedenti, per dimensione in unità temporale.

Con il senno di poi ci si potrebbe chiedere con quale presunzione un virus sfociato in una città di 11 milioni di abitanti, in una delle regioni maggiormente popolate del pianeta e tra una popolazione fortemente incline agli spostamenti potesse rimanere sotto controllo ed isolato.

Tuttavia, non è questa la sede per approfondire le implicazioni sanitarie del virus, nè tantomeno fornire indicazioni e previsioni sul suo decorso. È nostra opinione che il virus non sia la causa fondante del tracollo finanziario sperimentato in questi giorni ma diversamente abbia – il virus – messo a nudo le debolezze di un sistema interconnesso incapace di fornire una risposta condivisa ad una minaccia globale. Come diretta conseguenza, i sentimenti nazionalisti sperimentati nel recente passato ed in voga negli anni ’30 troveranno indubbiamente terreno fertile.

A livello concreto, la combinazione di  i) sentimenti nazionalisti e ii) calo del commercio internazionale, influiscono negativamente sulla crescita del GDP. Fintanto che la crescita del GDP è dettata da: “personale lavorativo impiegato X ore lavorate X produttività”, un ritorno al nazionalismo influirebbe negativamente sulla disponibilità di personale ed a parità delle altre condizioni non farebbe che ridurre la crescita economica.

Il problema è tanto più acuto in quei paesi, come  l’Italia, che si apprestano ad affrontare un forte ricambio generazionale dettato dall’uscita dal mondo del lavoro dei baby boomers.  In un momento in cui il fabbisogno delle casse statali aumenta, le entrate (tasse) diminuirebbero a causa di una riduzione del GDP. Seppur non sia uno scenario auspicabile per il benessere collettivo è un’ipotesi che l’evoluzione dei fatti ci obbliga a prendere in considerazione.

polar bear
Il ritorno del bear market?

Tornando alle implicazioni più dirette sul mercato, l’emergenza contingente del Covid-19 ha evidenziato le debolezze di una supply chain globale e chiaramente suscitato perplessità sulla sua capacità di affrontare momenti di stress, soprattutto in relazione a quelle categorie di beni considerati “essenziali”. Il basso costo sostenuto nello “spostare” la merce e le ampie differenze nel costo del lavoro tra aree geografiche hanno portato nell’ultimo decennio ad una graduale delocalizzazione ed un accentramento della produzione in regioni spesso lontane rispetto alla centralità dei consumi. I primi beneficiari del modello “globale” sono state le stesse aziende che sono riuscite a migliorare gradualmente la marginalità dell’attività a vantaggio delle quotazioni sui mercati finanziari.

Oltre agli evidenti effetti negativi che il virus avrà sull’attività economica nel breve periodo, e quindi sui dati finanziari delle società, il recente movimento del mercato sottointende mutamenti più profondi caratterizzati da un ripensamento della supply chain globale, che si tradurrebbe de facto in un profit squeeze più prolungato. In altre parole, alle società verrebbero richiesti ingenti investimenti connotati da un notevole grado di incertezza e quindi in un ritorno atteso inferiore.

Si ritiene che la fase di ripresa delle economie occidentali possa essere più lenta di quanto si stia osservando in Asia (dove peraltro non mancano difficoltà nel riportare a regime l’attività) anche grazie ad una minor capacità di coesione e una certa sottovalutazione manifestata nel limitare l’espansione geografica del Virus. Il rischio di assistere ad un ridimensionamento delle filiere produttive potrebbe portare ad un inversione del trend relativo all’occupazione con implicazioni negative sulle abitudini e sulla portata dei consumi privati.

Se a livello governativo si sta affrontando il problema in termini prettamente individualistici, l’intervento corale delle Banche Centrali globali è stato volto a sostenere il sistema creditizio attraverso la garanzia di adeguata liquidità verso il canale bancario e a rallentare l’emorragia sui mercati finanziari. L’immissione di ingenti ammontari di liquidità dovrebbe garantire la possibilità agli Stati di continuare ad accedere ai mercati finanziari per soddisfare le esigenze di liquidità da immettere nell’economia reale, attraverso garanzie e investimenti diretti nelle filiere produttive che più subiranno la fase di lock-down. I ripetuti e continui interventi degli Istituti a distanza di poche ore sottolineano la dimensione del rischio che l’economia globale incorre, la probabile sottovalutazione delle stime di rallentamento economico e gli effetti di lungo periodo che tale emergenza potrebbe manifestare. Iniziative fiscali continueranno ad essere annunciate all’aggravarsi della situazione nelle settimane a venire. Tuttavia, se il “whatever it takes II” riuscirà ad evitare il collasso di mercati ed economie, il livello di indebitamento a livello globale è destinato a crescere significativamente gravando sulle prospettive di crescita economica a medio-lungo periodo.

L’importanza di un coordinamento a livello sovranazionale per fronteggiare la crisi

Passando ora ad un analisi più concreta sugli effetti osservati sui mercati finanziari e sul posizionamento di portafoglio da adottare, il primo messaggio che sentiamo di condividere è che per navigare scenari altamente incerti e imprevedibili occorre mantenere un approccio prudente all’investimento e volgere lo sguardo più lontano. Se i recenti crolli delle quotazioni potrebbero a primo avviso risultare delle grandi opportunità di acquisto, è necessario considerare come i livelli dei mercati pre-crisi inglobassero buona parte delle opportunità di crescita di lungo termine e quale sia il livello di difficoltà di comprendere le implicazioni di lungo termine che la fase di lock-down avrà sulle economie.

Il mercato obbligazionario ha subito la più grande paralisi dalla crisi finanziaria del 2008/09 venendo a mancare la liquidità anche sugli attivi a più basso rischio in un sell-off che non ha risparmiato nemmeno i “safe heaven” connotati da un’insolita volatilità.

In una fase di alta volatilità, che si stima possa proseguire per le prossime settimane, si mantiene una preferenza verso un posizionamento difensivo di portafoglio con una preferenza verso strumenti governativi a difesa del patrimonio ed emissioni corporate investment-grade rispetto ad high yield. Il limitato term-premium delle curve dei tassi induce a preferire un profilo di duration ridotto considerato anche come gli strumenti delle Banche Centrali per comprimere ulteriormente i rendimenti siano già stati largamente impiegati.

Tuttavia, crescenti opportunità di investimento si sono create attraverso le diverse classi di attivo. Tendercapital predilige le seguenti “nicchie” all’interno del mercato del reddito fisso:

    1. 1. Governativo Inflation-Linked: Esposizione difensiva verso il rischio credito con potenziale beneficio nel medio periodo da fase di pressione al rialzo sui prezzi dettata da supply chain disruption.
    2. 2. Corporate senior convertibile: Si favorisce l’utilizzo di strumenti convertibili per beneficiare di un possibile recupero di medio periodo sul mercato azionario. Si predilige esposizione verso basso rischio credito attraverso emittenti che presentano fattore“quality”.
    3. 3. Corporate hybrid: all’interno del segmento coporate subordinato si favoriscono emittenti esposti verso settori difensivi quali utilities, telco, healthcare e food&beverage.

 

Le nostre scelte di investimento nel comparto equity sono basate su tre linee guida:

    1. 1. Play defensive: Il nostro basket defensive ha sovraperformato il basket cyclical nell’ultimo mese, accelerando un trend iniziato nel 2019. Assumendo un base case crisi 2008/2009 (ma questa volta potrebbe essere molto peggio) il settore defensive presenta ancora opportunità più interessanti rispetto al cyclical. Nel comparto defensive preferiamo il Food&Beverage ed il Telco rispetto ad Utilities ed Health Care;
    2. 2. Do not gamble: consigliamo di assumere una view a lungo termine propria degli investitori. Nonostante valutazioni interessanti alcuni settori (ora più che mai) restano delle value-trap, le quali senza  un concreto intervento di governi/unità sovra nazionali rischiano il default. Rimaniamo U/W Auto&parts e Banks mentre preferiamo i settori tech e luxury guidati da trend sottostanti solidi e di lungo periodo;
    3. 3. Play “quality”: preferiamo selezionare società finanziariamente solide, supportate da modelli di business ad elevata generazione di cassa e non capital intensive. Con il protrarsi della situazione di emergenza il rischio di un credit crunch aumenta e le necessità di cassa a breve termine potrebbe diventare un problema di difficile soluzione.