Più risorse per ricerca e immigrazione: ecco come cambierà il bilancio dell’Ue

L’Europa accelera e guarda al futuro con largo anticipo. L’accordo per il nuovo bilancio comunitario sarebbe stato necessario solo a fine 2019, ma la Commissione ha voluto pubblicare in anticipo la sua proposta di conti per il periodo 2021-2027. Nessuno stupore visto che è in corso il negoziato per stabilire le condizioni del divorzio tra Londra e Bruxelles e che, avere chiaro il quadro delle entrate e delle uscite, aiuterà a capire come l’Unione potrà andare avanti senza il Regno Unito.

Un documento ambizioso, che chiede agli Stati membri di mettere sul piatto, a prezzi correnti, 1.246 miliardi di pagamenti (le risorse realmente in cassa) e 1.279 miliardi di impegni (quanto si stima si possa spendere), e innovativo, nella misura in cui si rivedono e in alcuni casi si stravolgono le priorità. Ecco a proposito di quali argomenti.

 

I numeri generali

Si tratta di un aumento di oltre 100 miliardi rispetto al bilancio settennale attualmente in corso (908 miliardi di pagamenti e 959,9 miliardi in impegni per il ciclo 2014-2020), con la differenza che in prospettiva ci saranno meno Stati membri – dal momento che il Regno Unito uscirà a breve facendo mancare 15 miliardi all’anno e quindi si chiederanno più sforzi agli altri governi. Questi dovranno contribuire al funzionamento dell’Ue con un risorse pari all’1,1% del Reddito nazionale lordo (circa l’1% attualmente). “Da questo dipenderà l’avvenire dell’Europa a ventisette”, ha sottolineato il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker.

 

Cosa cambia rispetto al passato

La Commissione fa scelte chiare e in rottura con gli “esercizi” precedenti. Dal 2020 in poi l’Europa decide di sostenere meno l’agricoltura e di aiutare i Paesi rimasti indietro a raggiungere gli altri. Vuole poi investire maggiormente sui giovani, per contrastare il populismo che si sta diffondendo, e pattugliare le proprie frontiere. Dovrà poi aiutare chi rispetta le regole comuni (su migranti, economia) e penalizzare chi viola quelle dello Stato di diritto. Questo in via generale.

 

Nel dettaglio, emerge l’esigenza di spendere di più per migranti e su questo punto le risorse saranno più che raddoppiate. Si finanzia poi il progetto di difesa comune con 20 miliardi assegnati a un fondo nuovo di zecca; e si contrasta la disoccupazione giovanile dal momento che l’Erasmus aumenta i fondi di 2,2 volte. Infine si prende più a cuore il tema della sicurezza e si spinge su digitale e ricerca per incentivare la competitività europea su scala globale. Si tratta di un aumento totale di risorse in questi settori pari a 109 miliardi di euro.
A rimetterci, saranno principalmente i capitoli di spesa tradizionali. Non è “una riduzione massiccia, non è un massacro né per la Pac né per la coesione”, ha argomentato Juncker, invitando a guardare “le nuove politiche che finanziamo, il raddoppio per Erasmus o la migrazione e l’aumento per la ricerca sono notevoli”. È vero che la politica agricola comune (Pac) perde il 5% e che i fondi di coesione, quelli che aiutano i Paesi rimasti indietro, scendono del 7%. Ma la sforbiciata sui pagamenti diretti agli agricoltori, da sempre il capitolo che interessa di più, calano solo del 4%, come ha sottolineato il commissario al Bilancio Gunter Oettinger.

 

Il prossimo bilancio aiuterà l’Eurozona, per un totale di 55 miliardi di cui 30 andranno a un Fondo di stabilizzazione degli investimenti, che interverrà nei Paesi colpiti da una crisi per mantenere costante il livello di investimenti pubblici tramite prestiti garantiti dal bilancio Ue. I restanti 25 verranno invece assegnati a chi farà le riforme strutturali indicate dalla Commissione e per assicurare la convergenza per quelli che adotteranno l’euro.

 

Potrebbero presto essere aboliti anche tutti gli “sconti” di cui beneficiano diversi Paesi oltre al Regno Unito, e potrebbe essere introdotto un principio di “condizionalità” annunciato da tempo: i fondi Ue saranno legati al rispetto dello stato di diritto. La Commissione propone l’eventuale stop della linea di credito, proporzionato alla violazione, e il Consiglio dovrà poi approvarlo o respingerlo. Una modifica a cui si oppongono i Paesi dell’Est, contrari anche al taglio dei fondi di coesione, essendone fino a oggi i principali beneficiari.