Un anno di Piani individuali di risparmio, ecco com'è andata

Sono stati creati con il fine di veicolare il risparmio degli italiani verso le piccole e medie imprese e ne hanno determinato un forte balzo delle quotazioni. In un anno di vita hanno raccolto quasi 11 miliardi di euro ed entro il 2021 si attendono più o meno 60 miliardi di euro gestiti per gli strumenti collegati. Ecco un primo punto su come funzionano e su come sono andati finora i Piani individuali di risparmio, più noti con l’acronimo di PIR, lanciati dalla Legge di bilancio 2017.

 

I conti in tasca

Il primo e ampio report che fa il punto su questo nuovo strumento del risparmio gestito si intitola “I Piani Individuali di Risparmio (PIR): gli effetti su domanda e offerta di capitale nel mercato borsistico italiano” ed è stato elaborato da Intermonte Sim, in collaborazione con il Politecnico di Milano. Il documento fotografa l’impatto dei PIR sul listino azionario italiano, con particolare attenzione ai prezzi e ai rendimenti dei titoli quotati, ai volumi scambiati, alla liquidità dell’intero mercato e allo stimolo al mercato primario tramite nuove IPO. Come dice anche Assogestioni, nei primi dodici mesi, sono stati mobilitati 10,9 miliardi di euro (cifra ben oltre le attese) e i fondi di questa tipologia hanno registrato performance superiori anche al 30%. Secondo le stime, l’industria dei PIR potrebbe raccogliere risorse per ulteriori 60,1 miliardi di euro entro il 2021, dei quali almeno 11,5 miliardi a vantaggio delle mid-small cap quotate. Un vero e proprio boom che si spiega con la caratteristica principale di tale strumento di investimento: l’esenzione fiscale.

 

Niente prelievo fiscale

Sin dalla loro ideazione i PIR godono infatti, di un regime fiscale agevolato: niente tasse su capital gain, dividendi, successione e donazioni per chi mantiene l’investimento per almeno cinque anni (con un massimo di 30mila euro annui per ogni singolo PIR). L’altro paletto da rispettare per godere dei benefici è che il singolo investitore non può superare i 150mila euro di investimento in piani individuali di risparmio.

 

L’effetto PIR in Borsa

Se si prendono in considerazione i titoli azionari italiani sui quali i PIR hanno potuto investire nel 2017, l’incremento è stato compreso in media tra il 12% e il 18%. L’effetto positivo c’è stato sulle small e mid cap che hanno registrato una rapida accelerazione, con un raddoppio per il segmento Star (passato dai 977 milioni del 2016 all’1,77 miliardi del 2017) e un aumento di ben 6 volte su Aim Italia nel 2017 (qui la media mensile degli scambi nel 2016 erano di 27 milioni di euro e nel 2017 ha raggiunto i 165 milioni). Le uniche azioni che hanno patito l’effetto PIR sono state le blue chip del listino milanese visto che i volumi di scambio si sono ridotti dell’8% rispetto all’anno precedente, tanto che si è parlato di una vera e propria “cannibalizzazione” da parte dei PIR.

 

Il mancato boom delle Ipo

Dalla ricerca di Intermonte e Politecnico emerge anche un altro importante dato: è troppo presto per riscontrare un rapporto di causa-effetto tra introduzione dei PIR e offerta di nuove Ipo. Nel 2017 le matricole sul listino principale erano state 8, numero non molto distante da quelli registrati in precedenza; 23 su Aim di cui 16 solo nell’ultimo semestre, anche grazie al fenomeno delle Special Purpose Acquisition Company (Spac), vale a dire i veicoli di investimento appositamente costituiti per raccogliere capitali sul mercato attraverso la quotazione delle loro azioni in Borsa. Non abbastanza però per ricevere l’ingente flusso di denaro proveniente dai PIR senza creare pericolose distorsioni sul mercato.

 

I punti da migliorare

L’incoraggiante andamento dei PIR non azzera però, alcune criticità, ben presenti agli operatori del settore. Quella dei costi, in primis, che in alcuni casi, se troppo elevati, rischiano di ridurre il beneficio fiscale dei risparmiatori. E poi il tema della scarsità di Pmi quotate a Piazza Affari su cui i PIR investono. La forte domanda per questi titoli ha portato in pochi mesi al forte balzo delle quotazioni delle piccole e medie aziende presenti sul listino. Una soluzione potrebbe essere già quella proposta dalla legge di Bilancio 2018 con la quale il Governo ha deciso di aprire il mercato dei Piani di risparmio anche al settore immobiliare, anche se va detto che sul listino ci sono solo cinque Società di investimento immobiliare quotate e complessivamente solo 12 titoli real estate.