La Cina lancia nuovi contratti sul petrolio in yuan

Con una richiesta di quasi 9 milioni di barili al giorno, la Repubblica Popolare Cinese è diventata lo scorso anno il primo importatore di petrolio a livello mondiale, sorpassando così gli Stati Uniti. Dal 26 marzo sulla borsa di Shangai viene quotato un future legato al prezzo del greggio, denominato in yuan e non in dollari. Una novità che stupisce più per la tempistica che per la notizia in sé: ma ci sono fondati motivi per cui la Cina si è decisa a lanciare solo adesso i nuovi contratti in yuan. Ecco come si è mosso il Dragone e quali sono le sue mire nel campo delle commodity.

 

Un ritardo ben motivato

Il sorpasso di Pechino su Washington si è verificato grazie al boom dello shale oil (il petrolio di scisto) nell’economia a stelle e strisce. L’aumento della produzione di questa materia prima in territorio americano ha fatto scendere gli acquisti Usa dall’estero a una media di 7,75 milioni di barili al giorno. Per i produttori di oro nero come Russia, Iran, Arabia Saudita, la maggiore richiesta di approvvigionamenti arriva, quindi, ora dalla Cina che fino a questo momento si era guardata dall’introdurre un proprio contratto a termine sul greggio per due principali motivi: la volatilità e i bassi prezzi.

 

Le caratteristiche

I contratti future in yuan sul petrolio includono sette differenti qualità di greggio sottostante: quello dell’Oman e quello di Dubai, il greggio leggero iracheno di Bashra e lo Shengli cinese, l’Upper Zakum degli Emirati Arabi, il Qatar Marine, il Masila yemenita, ma non il petrolio saudita né russo, né statunitense. Possiedono inoltre diversi tratti che ne fanno uno strumento dedicato a investitori prevalentemente locali, anche se a livello formale sono aperti alla compravendita anche da parte dei broker stranieri. In particolare: gli orari di negoziazione sul modello dei mercati cinesi, con pause durante la giornata (sessione mattutina: dalle 9 fino alle 11:30. Sessione pomeridiana: dalle 13:30 fino alle 15 p.m. Sessione notturna dalle 21 fino alle 2:30); la valuta di denominazione in yuan; i margini onerosi; la liquidità/profondità del mercato ancora bassa accompagnate da una bassa numerosità di scadenze offerte (prime 12 mensilità consecutive a partire da settembre 2018 seguite da 8 trimestri consecutivi); i criteri di ammissione alla negoziazione non semplicissimi. Tutte caratteristiche che spingono gli analisti a dire che ci vorrà diverso tempo per scalfire il duopolio di Brent e Wti.

 

L’obiettivo

Con lo sbarco a Shanghai del future petrolifero in yuan, Pechino si prefigge un obiettivo abbastanza chiaro: insidiare il controllo statunitense del mondo delle commodity, a oggi in larga parte denominato in dollari americani. La modalità con cui persegue tale fine? La creazione di un benchmark valido per l’Asia in grado di rivaleggiare con il Brent nel territorio europeo e con il West Texas Intermediate in territorio Usa.

Nel lungo periodo, il nuovo contratto potrebbe anche sostenere l’ascesa della valuta cinese come reale alternativa al biglietto verde. Non solo: auto candidandosi a diventare un mercato di riferimento di primo piano, Pechino spera anche di spuntare condizioni più vantaggiose nelle importazioni. Insomma, l’ambizione del sistema economico con il più alto fabbisogno netto di prodotti petroliferi al mondo è quella di entrare nell’arena in cui si negoziano i meccanismi di approvvigionamento e di fissazione del prezzo dei combustibili.

 

Le criticità

Il nuovo future made in Pechino non è però, del tutto esente da rischi. Il primo dei quali coincide con il principale punto di novità: la valuta. Lo yuan è infatti, una moneta non del tutto convertibile e la cui fluttuazione non è del tutto affidata al mercato. È la People’s Bank of China che quotidianamente aggiorna il tasso di cambio fra lo yuan e le maggiori valute internazionali. Per questo è nato un tasso di cambio secondario off-shore per chi compra dall’estero ed è stato fissato un tetto alle fluttuazioni giornaliere del 4% come misura per evitare possibili attacchi speculativi. Adesso sarà il mercato a decretare se il predominio del dollaro è destinato ad avviarsi verso il tramonto.