Tutte le statistiche e le previsioni ci dicono che le trasformazioni demografiche tingeranno d’argento il volto della nostra società e modificheranno intensamente le dinamiche del welfare, dell’economia e del lavoro.
Se le tematiche della Silver Economy sembrano orientate principalmente verso lo sviluppo degli investimenti, un aspetto importante che bisogna inserire nelle diverse previsioni risulta invece la nuova complessità e mutevolezza del mondo del lavoro.
Qui cambieranno le richieste, sia in termini di professioni necessarie che di mancanza delle figure, mentre aumenterà l’età lavorativa e per le aziende sarà sempre più importante il ruolo dell’Intelligenza Artificiale nell’ottimizzazione dei processi e nella gestione del personale.
Cala la forza lavoro
Vari studi che guardano al contesto italiano e a quello europeo, partendo dai dati Istat e Eurostat, evidenziano come già nel 2030, anche se il tasso di occupazione restasse costante, il numero di occupati in Italia subirebbe un calo del 3,2% ovvero tra meno di 6 anni avremo 730 mila lavoratori in meno. La situazione peggiora drasticamente se si estende la proiezione sul 2040 e poi sul 2050 perché l’andamento italiano si presenta sempre più critico rispetto alla media europea. Andando a vedere nel dettaglio, già fra meno di vent’anni, il calo degli occupati in Italia potrebbe arrivare al 13,8% per salire al 20,5% nel 2050. Tradotto in numeri assoluti, nel 2040 si stima ci saranno 3,1 milioni di lavoratori in meno e dieci anni dopo 4,6 milioni.
Andando a guardare gli ultimi tre decenni, l’impatto sulla forza lavoro è stato più che compensato dai numeri dell’immigrazione, che si presentavano positivi e che proprio nel mondo del lavoro avevano la loro principale influenza. Ma anche questa tendenza sta cambiando in negativo, con i numeri dei lavoratori provenienti dall’estero in calo rispetto al passato. Si amplificherà poi il divario tra entranti e uscenti in età lavorativa a causa dell’aumento di coloro che potranno andare in pensione.
La riduzione del numero assoluto di lavoratori si confronta poi con il cambiamento delle competenze necessarie, che si presentano sempre più tecniche e specialistiche perché connesse ai cambiamenti tecnologici e che richiedono una formazione sempre più specifica e aggiornata.
Le aziende verranno chiamate a inserire nelle proprie politiche attività sia di upskilling, ovvero che permettano di espande le conoscenze o di acquisirne di nuove nell’ambito dei propri incarichi, che reskilling, che permettano di sviluppare nuove competenze così da poter ricoprire altri ruoli.
Uno scenario che riguarda sia chi deve entrare nel mondo del lavoro che chi deve rimanerci e mette in evidenza varie criticità, prima fra tutte quella della difficoltà di incontro tra domanda e offerta, che segue il ruolo delle competenze delle nuove e vecchie professioni anche rispetto al ricambio generazionale.
Il ruolo dei giovani
Il nostro non è un paese per giovani se, negli ultimi venti anni, ha perso oltre 800 mila giovani fino a 14 anni (-9,9%) e oltre 2,6 milioni di 15-34enni (-17,9%). Anche nella fascia 35-49 anni si registra una perdita di quasi 1,4 milioni di residenti (-10,4%), mentre c’è stato un incremento di circa 3 milioni di 50-64enni (+28,6%) e di 3,1 milioni di over 65 (+28,2%).
In questo contesto demografico, scenari futuri che riguardano l’offerta di lavoro per i giovani si restringeranno proprio a causa dell’invecchiamento dei lavoratori, ovvero l’alzamento dell’età lavorativa, che li pone come sempre più esposti ai rischi del precariato e del basso salario.
Un fenomeno che dovrebbe essere contrastato già a partire dalle politiche di settore riguardanti la riduzione dei giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione. Questi giovani vengono classificati come appartenenti alla categoria dei NEET, acronimo di Not in Employment, Education or Training. In Italia, nel 2022, il tasso di questa particolare categoria era oltre i 7 punti percentuali superiore alla media europea, ma sarebbe sbagliato pensare che comprenda solo giovani sfiduciati, perché quasi due terzi si dichiarano disponibili a lavorare.
E proprio lo studio ha un ruolo centrale nel favorire la loro partecipazione al mercato del lavoro se, sempre nel 2022, il tasso di occupazione dei laureati di età 25-64 anni è di 30 punti superiore a quello di chi ha conseguito al massimo la licenza media (83,4% contro 53,5%) e di 11 punti rispetto a quello dei diplomati (72,4%).
I giovani sono ancora molto ricercati in vari settori, per questo diventerà sempre più serrata la competizione tra le imprese per attrarre e trattenere personale. Queste saranno chiamate a mettere in campo azioni che portino a una maggiore attrattività che risponda alle esigenze emergenti delle giovani generazioni. Un’attrattività che può essere composta sia dalla garanzia di un’equa retribuzione ma anche dalla stabilità contrattuale e da una migliore collocazione professionale, oltre che dal welfare aziendale e dall’inclusività, il tutto in una visione sostenibile del rapporto tra vita e lavoro.
L’Intelligenza Artificiale tra nuove e vecchie professioni
Nei prossimi anni la progressiva carenza di manodopera influenzerà settori cruciali per l’economia italiana, come l’industria, l’edilizia e i servizi, con il rischio di un freno alla crescita dell’economia complessiva e, a seguito della diminuzione del numero dei lavoratori attivi, potrebbe entrare in crisi anche il patto intergenerazionale dei contributi destinati al sistema previdenziale, mettendo in discussione la sostenibilità del sistema pensionistico italiano.
In questo scenario, l’Intelligenza Artificiale si presenta come una risorsa per compensare il calo della forza lavoro grazie alla sua capacità di aumentare la velocità dei nostri processi produttivi.
In particolare l’AI generativa, o GenAI, che si concentra sulla creazione di nuovi contenuti, come testo, immagini, musica, audio e video, presenta varie opportunità per implementare i processi delle aziende. Una tendenza segnalata anche dall’ultima ricerca Deloitte State of Generative AI in the Enterprise: Now Decides Next, uno studio trimestrale del Deloitte AI Institute sulle azioni intraprese dalle imprese in tema di adozione della GenAI e sui possibili impatti.
Nei primi mesi del 2024, ha incrementato il ritmo di adozione e integrazione della GenAI nei propri processi il 47% delle aziende. Lo hanno fatto attraverso l’allargamento a tutte le funzioni aziendali, prevedendo maggiori investimenti nell’infrastruttura tecnologica e nell’implementazione delle risorse aziendali.
Nell’ambito delle risorse umane poi, per il 75% delle aziende, l’Intelligenza Artificiale generativa porterà entro i prossimi due anni cambiamenti nelle loro talent strategy, mentre nei prossimi 12 mesi il 39% delle imprese prevede di aumentare l’organico aziendale grazie all’integrazione nei propri processi della GenAI.
Questi scenari indicano quindi una strada in cui l’Intelligenza Artificiale diventa una risorsa sempre più importante per compensare gli squilibri demografici e trovare nuovi percorsi che ci allontanano dalle tante crisi previste per il futuro.