Un sottilissimo cerotto che, applicato su un qualsiasi tessuto del corpo umano, riesce a sentirne i livelli di ossigeno e fare in modo che si mantengano in salute e possano svolgere le proprie funzioni. Come funziona? Una volta fatto aderire alla cute oppure attraverso un piccolo intervento sulla superficie di un organo interno si mette in contatto con i capillari sottostanti e misura quanto ossigeno scorra dentro di essi. A idearlo, un team di ricercatori dell’Università di Berkeley, in California, allo scopo di individuare e aver la possibilità di ripristinare in tempo reale, possibili lesioni o ferite che altrimenti passerebbero inosservate.
Utile soprattutto in fase post-operatoria e nei trapianti, quando tenere sott’occhio la parte interessata è di vitale importanza, è l’ultimo prototipo della flexible electronics, o elettronica flessibile, una scienza assolutamente di frontiera che si dedica allo sviluppo di device che siano adattabili alle forme e alle superfici interne dell’organismo. Una sorta di nuova generazione di dispositivi wearable, biocompatibili e in forma miniaturizzata.
L’elettronica flessibile vista al microscopio
Lo spessore di solito è così minuto che è quasi trascurabile, in modo da risultare il meno possibile invasivo per l’habitat dove il dispositivo viene applicato: potremmo paragonarlo a quello dei tatuaggi temporanei tanto amati dai bambini, o addirittura ancora più sottile.
Tuttavia, grazie alla miniaturizzazione dell’elettronica, questo spazio quasi bidimensionale riesce a contenere sulla sua superficie grandi quantità – e varietà – di sensori: veri e propri “nasi” in grado di fiutare sostanze e condizioni dei tessuti biologici. Dalla concentrazione, appunto, dell’ossigeno a quella di zuccheri, proteine o molecole nocive a segnali come l’aumento della temperatura o della pressione sanguigna.
Cerotti che “parlano”
Una volta raccolta l’informazione specifica, il dispositivo deve però poterlo trasmettere al paziente, o all’operatore sanitario di turno, ed è quindi necessario che oltre alla capacità di sentire, possieda anche quella di comunicare. Un po’ come quando la spia rossa sul cruscotto ci avvisa che è ora di fare il pieno di benzina.
Su questo fronte gli scienziati si stanno a dir poco sbizzarrendo, passando da microscopici sistemi wi-fi, in grado di trasmettere i dati direttamente ai computer del medico o, addirittura, allo smartphone del paziente attraverso un’app, a sistemi anch’essi integrati con il corpo, come per esempio segnali luminosi. Il caso più evoluto, e forse più affascinante è quello di un prototipo di elettrocardiogramma indossabile, da applicare semplicemente sul polso e che può dirci in tempo reale se il nostro cuore sta bene o meno. Come? Capta i parametri vitali del muscolo cardiaco e in particolare il ritmo (proprio come fa il medico quando appoggia lo stetoscopio sulla nostra pelle) e ci aggiorna attraverso un display OLED anch’esso sottilissimo e incollato alla pelle. In particolare, illuminando un logo a forma di cuore di rosso quando va tutto bene, di blu quando il battito del cuore suggerisce che è meglio contattare subito un dottore.
Non solo diagnosi
Come dopo ogni diagnosi, lo step successivo è quello della cura. Qui la flexible electronics si propone obiettivi davvero rivoluzionari. Uno dei più ambiziosi, ma allo stesso tempo non molto lontani dall’applicazione medica, lo sviluppo di una sorta di “pelle elettronica” che, nella forma di un polpastrello artificiale, possa donare il senso del tatto a chi, per colpa di un incidente o un disturbo nervoso, ha perso la sensibilità. Ma non solo. Grazie a combinazioni di supporti sempre più morbidi e materiali funzionali – come quelli in scala nanoscopica, cioè con dimensioni di miliardesimi di metro – si lavora anche a sistemi per uso ottico, da impiantare nel bulbo oculare. Una volta attecchiti e integrati con i circuiti neuronali, dispositivi di questo tipo potrebbero funzionare come una retina, riaccendere la trasmissione degli stimoli visivi e donare, o ripristinare, il senso della vista.