Una squadra di foche cyborg per studiare i ghiacci in Antartide

Le foche non sono naturalmente dotate di antenne. Eppure è stato svolto un esperimento scientifico, condotto da un team internazionale di ricercatori guidato dall’Università di Washington, il cui obiettivo è investigare sui misteri che riguardano la conformazione e la storia dell’Antartide e, in particolare, sulle origini di un enorme buco nel ghiaccio marino che da decenni tormenta gli studiosi.

Una misteriosa voragine nel bianco

Il termine tecnico del foro è “polinia”: di fatto uno specchio d’acqua salata incastonato nella banchisa. Quella in questione è gigantesca: fotografandola dall’alto, la sua superficie raggiunge – spiegano gli scienziati – quella del South Carolina, cioè oltre 80mila chilometri quadrati, nell’area occupata dal Mare di Weddell. Un fenomeno che si manifesta occasionalmente, con durata variabile, e senza una ragione precisa. La sua presenza, per intenderci, è scollegata dall’aumento delle temperature in alcuni periodi, o dall’entità delle precipitazioni.

Ma allora cosa concorre alla sua formazione? È dagli anni ’70 che i ricercatori cercano di ricostruire i meccanismi, evidentemente più complessi, che portano allo scioglimento dei ghiacci in punti random del foglietto di ghiaccio. Senza tuttavia trovare una risposta.

Foche cyborg in avanscoperta

Per far luce sul mistero, il team di scienziati del ricercatore Ethan Campbell dell’Istituto di Oceanografia dell’Università di Washington ha provato a inventarsi una strategia di esplorazione tutta nuova: “arruolare” una piccola squadra di elefanti marini, grossi animali della famiglia delle foche, che popolano queste zone freddissime del Pianeta. E seguirle nei loro viaggi sotto la superficie marina, mentre nuotano centinaia di metri sotto la superficie, fino a profondità che superano i 2mila.

Dotandole di un apparato di sensori, piccole antenne, il team ha potuto raccogliere informazioni relative a vari strati di oceano sottostante i ghiacci che finora risultavano impossibili da raccogliere anche per gli esploratori più ferrati e per i mezzi sottomarini. Gli esemplari selezionati sono stati muniti di piccoli elmetti elettronici sviluppati ad hoc per non recare disturbo alle normali abitudini degli animali e programmati per “scollarsi” automaticamente dal loro capo dopo alcune settimane, a missione compiuta.

Le novità emerse

Gli strani copricapi, collegati a ricevitori satellitari, hanno consentito agli scienziati di accedere a un posto nel Mondo finora del tutto impraticabile e misurare le proprietà chimiche e fisiche dell’ambiente sottostante la misteriosa “piscina” tra i ghiacci.

I risultati, appena pubblicati sulla rivista Nature, parlano chiaro: sono delle vere e proprie tempeste sottomarine quelle che provocano la formazione dei fori, condite da variazioni di salinità e ulteriori condizioni oceaniche fuori dall’ordinario. Nello specifico, il rimescolamento delle acque in profondità favorisce la risalita verso la superficie dei getti d’acqua meno freddi, che vanno poi a determinare lo scioglimento della “crosta” ghiacciata e la formazione di un buco.

Perché sempre in quel punto? Nel caso della grossa polinia in esame, al cuore dello squilibrio vi è molto probabilmente la presenza, sul fondale oceanico, di un’enorme montagna sottomarina, il Maud Rise: il moto delle correnti che si scontrano con il rilievo, infatti, sfocia in un vortice che concentra periodicamente le acque più tiepide sotto la calotta ghiacciata sempre in quella precisa area.

Se ci sia di mezzo anche il global warming è ancora difficile da comprendere: sarà necessario raccogliere nuovi dati, la costruzione di modelli ancora più complessi e, probabilmente, seguire le foche-cyborg in nuovi viaggi per mettere insieme tutte le tessere del puzzle.