Microplastiche nel sangue umano, sfida globale per proteggere la salute

Presenti nell’ambiente e al centro di numerosi studi e ricerche scientifiche, le micro e nanoplastiche – per microplastica si intendono frammenti più piccoli di cinque millimetri di diametro mentre le nanoplastiche sono particelle ancora più piccole – sono il risultato del processo di sfaldamento della plastica che, durante la fase di deterioramento, rilascia minuscoli frammenti di materia che, diffondendosi nell’aria contaminano praticamente ogni ambiente, dai fondali marini alle vette montane, senza risparmiare gli alimenti.
Fino a poco tempo fa credevamo che la contaminazione riguardasse principalmente l’ambiente, ma un recente studio della Vrije Universiteit Amsterdam pubblicato su “Environment International”, ha messo in luce che le microparticelle di plastiche presenti nell’aria si depositano anche nel sangue umano.

 

LO STUDIO

È stata una ricerca condotta nei Paesi Bassi e coordinata dalla Vrije Universiteit di Amsterdam a dimostrare la presenza di tracce plastiche nel sangue di esseri umani. Analizzando il sangue di 22 donatori anonimi, i ricercatori si sono concentrati sulla ricerca di cinque diversi polimeri, le molecole di cui è costituita la plastica, e per ciascuno di essi sono stati misurati i livelli presenti nel sangue.
I risultati dimostrano che nel sangue di tre quarti dei soggetti erano presenti tracce di plastiche e che il materiale più abbondante era il Pet (polietilene tereftalato) di cui sono fatte le bottiglie. Molto frequente anche il polistirene utilizzato negli imballaggi, seguito dal polimetilmetacrilato, noto anche come plexiglas. In media, sono stati misurati 1,6 microgrammi di plastica per ogni millilitro di sangue, con la concentrazione più alta di poco superiore a 7 microgrammi.

 

LE POSSIBILI CONSEGUENZE SULLA SALUTE

È ancora poco chiaro se e con quale facilità le particelle di plastica possono passare dal flusso sanguigno agli organi e quale sia la loro effettiva pericolosità. È stato però dimostrato che le particelle di microplastiche, oltre a comparire nel flusso ematico, si depositano anche nei polmoni. A renderlo evidente è uno studio inglese pubblicato su “Science of the Total Environment”. La ricerca, basata sull’esame del tessuto polmonare di 13 pazienti sottoposti a intervento chirurgico, ha rilevato particelle di plastica fino a dimensioni di 0,003 mm, confermando la loro presenza in 11 casi. Dalle analisi è stato possibile identificare anche il tipo di microplastiche presenti negli alveoli polmonari: polipropilene, utilizzato prevalentemente negli imballaggi e nei tubi, e Pet, impiegato soprattutto per le bottiglie. Le più comuni e le stesse rilevate nel sangue.

 

UN PROBLEMA GLOBALE

La diffusione della plastica nell’ambiente, come accennato, è sempre stato considerato un problema ambientale, da limitare per difendere il suolo, la terra e le acque. Grazie alle recenti scoperte in ambito sanitario siamo oggi consapevoli della reale portata del problema, che affligge anche la salute degli esseri umani e dell’intera catena alimentare.
I frammenti microscopici di plastica non sono visibili a occhio nudo, si diffondono nell’aria, penetrano nell’ambiente e, soprattutto, possono essere ingeriti da animali e uomini. Il loro accumulo nell’ambiente – la produzione attuale è stimata in oltre 300 milioni di tonnellate l’anno – è una catastrofe per tutti gli ecosistemi, a partire dagli oceani, ma la conferma della loro presenza anche all’interno del corpo umano, nel sangue e nei polmoni, apre di fatto nuovi scenari prima immaginabili e trasforma il tema delle microplastiche in una sfida globale anche in ambito sanitario, dato il concreto rischio per la salute umana e animale.