Microchip, settore strategico per la digitalizzazione comune europea

La digitalizzazione europea passa dai microchip. Sul tavolo dell’Ue una delle condizioni necessarie per intercettare la transizione nell’era della digitalizzazione è la disponibilità, sempre più strategica, di microprocessori dalla grande efficienza, dalle spiccate capacità energetiche e dalle alte prestazioni. Soddisfare un mercato in crisi di microchip non è semplice. In Europa la scarsità dei componenti necessari alla produzione è ormai una priorità e la corsa per ridurre la dipendenza dall’approvvigionamento estero è diventata una necessità impellente.

 

COME AVVIENE LA PRODUZIONE DEI MICROCHIP

L’Europa paga la sua dipendenza dall’Asia. Negli ultimi anni, soprattutto nel post pandemia e, recentemente, con le incertezze geopolitiche in alcune zone del continente asiatico, la scarsità delle importazioni di microchip in UE si è aggravata con evidenti ripercussioni economiche e produttive che hanno colpito tutti i 27 Stati.

Il Vecchio Continente, come detto, dipende per la maggior parte da produzioni asiatiche, soffrendo una situazione di radicale dipendenza. Il paradosso a cui si assiste è che la progettazione dei microchip avviene in larga parte in Europa e in America, mentre l’assemblaggio, la produzione e l’“impacchettamento” sono nelle mani dei paesi asiatici grazie al miglior rapporto prezzo-qualità.

Le difficoltà europee, evidenziano gli esperti, sono attribuibili a due fattori: da un lato, gli scarsi investimenti nello sviluppo e nella produzione di chip e dall’altro la mancata diversificazione dei fornitori e delle fonti di approvvigionamento, restando di fatto bloccati in una dipendenza perenne dall’estero.

 

LA CRISI DEI MICROCHIP IN EUROPA

La mancanza di chips e la domanda di componentistica sempre più pressante, stanno avendo effetti devastanti per i settori produttivi europei che fanno largo uso di chips. La difficoltà di reperire sul mercato il numero adeguato di microchip per soddisfare la domanda attuale, sta costringendo alcuni settori come l’automotive o la produzione di macchinari e attrezzature agricole e industriali a ridimensionare la produzione e allungare i tempi di consegna.

Se la crisi da micro processori dovesse proseguire alcune linee di produzione potrebbero dover cessare l’attività. Gli esperti stimano che nei primi 10 mesi dello scorso anno in Europa si sia perduto il 5,1% della produzione industriale che ha visto alcuni settori, come l’automotive, fra i più colpiti.

 

LE AZIONI CHE PUO’ INTRAPRENDERE L’EUROZONA

Per superare queste criticità che stanno condizionando pesantemente la crescita e competitività dell’Eurozona, la Commissione Ue ha recentemente proposto una netta inversione di tendenza elaborando un piano ambizioso, di medio-lungo periodo, allo scopo di costruire la propria indipendenza. Gli obiettivi Ue per i prossimi anni puntano a sviluppare le tecnologie e le capacità produttive dei chip rendendoli sempre più avanzati e riducendo progressivamente la dipendenza dell’estero. Accanto a queste misure, l’Ue vuole incrementare la sua quota di investimenti mondiali nel settore raddoppiando la produzione interna, portandola dall’attuale 10% al 20%.

 

COSA PREVEDE IL CHIP ACT EUROPEO

Per aumentare la produzione di semiconduttori, necessari a produrre microchip, e attrarre investimenti da aziende straniere, la Commissione Europea sta elaborando un piano di investimenti che, secondo le previsioni, dovrebbe attestarsi intorno ai 50 miliardi di euro. Una cifra che, entro il 2030, dovrà assicurare l’indipendenza europea da micro chip.

La volontà della Commissione Ue è quella di colmare il gap con Taiwan, Corea, Cina – leader nel settore dei semiconduttori e microchip – soprattutto nella fascia di produzione dei chip più sofisticati (2 nanometri) utilizzati nei settori ad alta intensità tecnologica, come l’automotive e l’industria elettronica.

Analizzando gli scenari di medio termine ipotizzati dalla Commissione Europea molti analisti sono concordi nel ritenere l’obiettivo non facilmente raggiungibile. La difficoltà maggiore, sostengono gli esperti, è nella creazione in tempi brevi di una rete infrastrutturale adeguata, che possa e sappia favorire la crescita produttiva delle micro componentistiche. Accanto a questo bisognerebbe riconsiderare anche i costi di produzione interni all’Ue, superiori rispetto a quelli dei Paesi asiatici e che, di fatto, non favoriscono un rapporto produzione-costo-qualità competitivo rispetto ai Paesi extra Ue.

Gli studiosi del settore sono certi che entro il 2030 la Ue non riuscirà ad ottenere una completa indipendenza produttiva da microchip ma, sicuramente, potrà concorrere nella produzione dei semiconduttori con fette di mercato interno, andando anche a calmierare gli approvvigionamenti esteri.