Italiani e finanza, una relazione complicata: solo una famiglia su tre investe

Diffidenti e poco preparati, gli italiani hanno un rapporto non proprio idilliaco con la finanza, tanto che solo il 29% delle famiglie – vale a dire una su tre – possiede almeno un prodotto o uno strumento finanziario. Se la conoscenza dei principi base dell’economia non è così diffusa, almeno un dato è rassicurante: per il 2017 la ricchezza netta delle famiglie si è mantenuta stabile sui livelli del 2012, attestandosi a nove volte il reddito disponibile, quindi sopra la media Ue. Di contro, il tasso di risparmio lordo rispetto al reddito disponibile è continuato a calare, scendendo al di sotto della media dell’area euro. A fotografare questa situazione è l’ultimo “Rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane”. Ma vediamo nel dettaglio qual è la situazione.

 

Il ritratto dell’investitore

L’italiano che investe è quello che ha un atteggiamento personale più aperto al mondo della finanza grazie a “maggiori conoscenze e abilità di calcolo”, si legge nel rapporto. Gli italiani che “consumano” prodotti finanziari hanno anche maggiori “attitudini personali quali, per esempio, la propensione all’uso di informazioni numeriche (36%), la propensione al ragionamento impegnativo sul piano cognitivo (41%), l’ottimismo (35%), la fiducia negli altri (29%)”.

Le famiglie che al contrario manifestano una maggiore e progressiva disaffezione nei confronti del risparmio sono quelle più colpite dalla cosiddetta “ansia finanziaria”, una condizione che tocca il 10% della popolazione. Se il “tesoretto” dei diversi nuclei resta consistente in rapporto al reddito disponibile, continua a calare il tasso di risparmio, portandosi al di sotto della media dell’area euro: a fine 2017 risultava pari al 9,7%, a fronte dell’11,8% della media dell’Eurozona (nel 2004 aveva raggiunto il 15%, superando la media area euro di un punto percentuale).

Guardando infine, al livello di indebitamento, le famiglie italiane continuano a essere più virtuose, registrando a fine 2017 un rapporto debito/Pil pari al 40% a fronte di poco meno del 60% per la media dell’area euro.

 

In cosa si investe

Se si guarda alle scelte di portafoglio, Italia ed Eurozona continuano a registrare il tradizionale divario nel peso della componente assicurativa e previdenziale, che nel contesto domestico rimane più contenuto anche se in crescita, e dei titoli obbligazionari, comunque in diminuzione.

A pesare di più nella composizione di portafoglio sono i fondi comuni e i titoli di Stato italiani (dopo i depositi bancari e postali). Gli investimenti etici e socialmente responsabili (SRI) sono ancora poco conosciuti e poco attrattivi: più del 60% degli intervistati, infatti, dichiara di non averne mai sentito parlare e meno di un terzo manifesta interesse dopo essere stato informato degli elementi che in astratto li qualificano.

 

Ancora poca inclusione e scarsa confidenza con il digitale

Analizzando il tema dell’inclusione finanziaria, il report Consob mostra come la diffusione di alcuni prodotti e servizi bancari (conti corrente, carta di credito e carta di debito) vede l’Italia in linea con la media dell’area euro, grazie all’incremento registrato nel periodo 2011-2017. In alcuni casi rimane un più accentuato gap di genere, che vede per esempio carte di credito e di debito meno diffuso tra le donne, mentre si sta riassorbendo il gap per livello di istruzione e per livello di reddito.
Gli strumenti di pagamento digitali vedono ancora tanti italiani diffidenti: rispetto ad altri paese, le famiglie italiane sono ancora poco abituate a utilizzare il telefono mobile o internet per i pagamenti (poco più del 20% versus il 45% in Eurozona).

Cultura finanziaria, questa sconosciuta

L’asino cade sulle competenze finanziarie anche elementari: un intervistato su due non conosce le nozioni di base. Solo uno su cinque conosce concetti avanzati. In media gli italiani sanno cos’è una percentuale, ma l’80% non riesce a capire il concetto di probabilità. Alcuni strumenti finanziari sono noti alla maggioranza degli intervistati, ma solo il 10% di loro è in grado di classificarli progressivamente correttamente secondo il loro livello di rischio.

Un ulteriore dato emerge sulla preparazione in materia economica: tanto meno si conosce, tanto più si pensa di sapere. Dal 2009 al 2015 la percentuale di coloro che possiedono buone competenze finanziarie è passata dal 42 al 37%, allo stesso tempo coloro che pensano di avere competenze elevate sono passati dal 67 al 76%. A tradurre le basse competenze in scelte sbagliate che possono esporre a rischi eccessivi il passo è breve.

Solo il 20% degli intervistati manifesta l’intenzione di accrescere le proprie competenze, con più interesse da parte delle donne, di chi ha più cultura finanziaria e di chi mostra alcune attitudini comportamentali (propensione all’uso di informazioni numeriche, propensione al ragionamento impegnativo sul piano cognitivo, ottimismo, fiducia, auto-efficacia); l’ansia finanziaria è invece associata negativamente.

Nemmeno il servizio di consulenza in materia di investimenti gode di una diffusa conoscenza: più del 50% degli intervistati non è in grado di definire in cosa consista e circa l’80% degli investitori è convinto che sia gratuita ovvero non è in grado di dire se essa venga remunerata, mentre il 48% circa non è disposto a pagare per il servizio. Dopo aver ricevuto la raccomandazione, più del 60% degli italiani segue il consiglio mentre il 10% chiede un secondo parere.