Un esempio di deflazione: il Giappone degli anni ‘90
Per spiegare la deflazione e i suoi effetti sull’economia di un Paese si prende spesso ad esempio il Giappone degli anni ‘90. In quel periodo, il Sol Levante veniva da un lungo periodo di crescita che si interruppe bruscamente all’inizio del decennio il PIL si bloccò sul +1,2% annuo, un tasso nettamente inferiore rispetto a quelli delle altre economie avanzate del globo. La crisi del cosiddetto “decennio perduto” del Giappone fu così dura che le conseguenze si fanno sentire ancora oggi.
Ma cosa successe? In pochissimo tempo, a causa dello scoppio di una bolla speculativa immobiliare e finanziaria, la domanda interna giapponese crollò e la Banca Centrale non riuscì ad arginare i danni della crisi. Si creò così un contesto sfidante ancora oggi presente nell’economia giapponese.
Sulla fine del decennio la situazione non migliorò: nuove spinte deflazionistiche giunsero dalla crisi asiatica di quegli anni (che colpì molti altri paesi, come gli USA). Tuttora, il Giappone ha un rapporto debito/PIL che sfiora il 240%, per oltre il 90% è mantenuto all’interno del Paese. Ciò non è dovuto soltanto al decennio perduto, ma anche ad altre cause più strutturali come l’alta età media della popolazione, la forte crescita di sofferenze e crediti deteriorati nei bilanci bancari, la reazione restrittiva della banca centrale, il forte apprezzamento dello yen negli anni precedenti.
Ciononostante, l’esempio del Giappone è utile a sottolineare quanto la deflazione possa impattare sull’economia di una Nazione. Ma lo stesso fenomeno può anche non avere conseguenze negative.
Che cos’è la deflazione
Prima di tutto, di che cosa si sta parlando?
La deflazione è un calo generale dei prezzi di beni e servizi, generalmente associato a una contrazione dell’offerta di moneta e credito nell’economia. Durante la deflazione, il potere d’acquisto della valuta aumenta nel tempo. A prima vista, il fenomeno avvantaggia i consumatori perché possono acquistare più beni e servizi con lo stesso reddito nominale nel tempo.
Tuttavia, non tutti vincono con prezzi più bassi e gli economisti sono spesso preoccupati per le conseguenze della caduta dei prezzi su vari settori dell’economia, in particolare in materia finanziaria. La deflazione, infatti, può danneggiare i mutuatari, che possono dover pagare i loro debiti con denaro che vale più del denaro effettivamente preso in prestito, così come gli attori dei mercati finanziari che investono o speculano sulla prospettiva di un aumento dei prezzi.
Cause della deflazione
Per definizione, la deflazione monetaria può essere causata solo da una diminuzione dell’offerta di moneta o di strumenti finanziari riscattabili in moneta: quando l’offerta di moneta e di credito diminuisce, senza una corrispondente riduzione della produzione economica, i prezzi di tutti i beni tendono a calare. I periodi di deflazione si verificano più comunemente dopo lunghi periodi di espansione monetaria artificiale.
Tuttavia, il calo dei prezzi può essere causato da una serie di altri fattori: un calo della domanda aggregata (una diminuzione della domanda totale di beni e servizi) o un aumento della produttività. Un calo della domanda aggregata si traduce in genere in successivi prezzi più bassi. Le cause di questo spostamento includono la riduzione della spesa pubblica, il fallimento del mercato azionario, il desiderio dei consumatori di aumentare i risparmi e l’inasprimento delle politiche monetarie (tassi di interesse più elevati).
La caduta dei prezzi può anche avvenire naturalmente quando la produzione dell’economia cresce più rapidamente dell’offerta di moneta e credito in circolazione. Ciò si verifica soprattutto quando la tecnologia migliora la produttività di un’economia ed è spesso concentrata in beni e industrie che beneficiano di miglioramenti tecnologici. Le aziende operano in modo più efficiente man mano che la tecnologia avanza. Questi miglioramenti operativi portano a minori costi di produzione e risparmi sui costi trasferiti ai consumatori sotto forma di prezzi più bassi.
La deflazione dei prezzi attraverso l’aumento della produttività è diversa in settori specifici. Ad esempio, negli ultimi decenni i miglioramenti della tecnologia hanno comportato riduzioni significative del costo medio per gigabyte di dati. Nel 1980, il costo medio di un gigabyte di dati era di $437.500; entro il 2010, il costo medio era di tre centesimi. Questa riduzione ha comportato un calo significativo anche dei prezzi dei manufatti che utilizzano questa tecnologia.
Le conseguenze negative della deflazione
Come conseguenza del calo dei prezzi, le società registrano una diminuzione del fatturato, alla quale reagiscono cercando di ridurre i costi delle materie prime, i costi derivanti dai fornitori, il costo del lavoro e di comprimere i finanziamenti dalle banche (riducendo gli oneri finanziari sui debiti contratti). Questi interventi, però, contribuiscono a comprimere la domanda aggregata, portando a nuove spinte deflative.
Ad esempio, con il taglio dei costi del lavoro aumenterà la disoccupazione e, come conseguenza, i nuovi disoccupati ridurranno le proprie spese a loro volta.
Le conseguenze positive della deflazione
Se la deflazione si mantiene limitata e temporanea, però, può comportare anche delle conseguenze positive. Il calo dei prezzi, infatti, aumenta il potere di acquisto dei redditi più bassi e certe categorie, come ad esempio i pensionati, possono trarne vantaggio.
Una deflazione positiva viene anche generata dalla concorrenza: la competizione spinge le società di un mercato ad abbassare i prezzi, con conseguente vantaggio dei consumatori ed efficientamento del sistema.