Business ed etica

Abbiamo chiesto a Moreno Zani, Chairman Founder di Tendercapital, di raccontarci il suo personale punto di vista sull’evoluzione del rapporto tra etica e business, sempre più importante per comprendere con chiarezza lo spirito dei tempi in cui viviamo. Visto il tema, la risposta non poteva che affondare le sue radici nella storia: eccola in questo articolo Top&Hot firmato da Moreno Zani.  

Il dibattito quanto mai attuale sul rapporto tra business ed etica affonda le proprie radici tra gli antichi pensatori. Se Socrate può esser considerato il fondatore della scienza etica, fu Aristotele a coniare il termine stesso di Etica per designare le sue trattazioni di filosofia della pratica. Per Aristotele fine dell’uomo è la felicità, fare ciò che ci porta ad esser felici: solo con il prevalere delle facoltà razionali e con la realizzazione delle virtù dianoetiche (quali la sapienza, la scienza, l’intelletto, l’arte, la saggezza) l’uomo può essere felice.

Esiste, per il pensatore e in generale per il mondo classico, una precisa differenza tra scienza puramente speculativa – e perciò disinteressata –  e scienza applicata. Proprio ai pensatori classici si rivolge recentemente anche Abraham Flexner nel suo saggio “The Usefulness of Useless Knowledge”. Le maggiori invenzioni, di fatto poi utilissime per le società, nacquero dal puro spirito e amore per il sapere di uomini guidati dalla curiosità e dall’assoluta assenza di possibili risvolti pratici delle loro invenzioni. Tuttavia intuizioni ottenute grazie a riflessioni assolutamente “inutili” si rivelarono poi utilissime per la società stessa. È qui che può esser d’aiuto l’affermazione di Popper secondo cui “La tecnica libera l’uomo e offre delle possibilità.”

Lo stretto legame tra crescita culturale ed economica

A conclusione di una conferenza a Vienna nel 1991, Karl Popper disse: “Il mondo è un luogo meraviglioso che noi, come giardinieri, possiamo ancora migliorare e coltivare. E in questo cercate di usare la modestia di un giardiniere esperto, il quale sa che molti dei suoi tentativi falliranno.” Nel suo saggio su “Tecnologia ed Etica”, Popper si soffermava su quanto la ricchezza creata dalla tecnica e dalla società industriale avesse contribuito a migliorare le condizioni di lavoro e vita stessa della maggior parte delle persone, affidando allo sviluppo un forte significato culturale. Pur riconoscendo i possibili rischi e ascoltando con attenzione le critiche legate all’abuso di tecnologia e crescita economica, le rivoluzioni industriali (come i trasporti, con ferrovie e automobili con possibilità di spostare cose e persone agevolmente, l’invenzione di luce ed elettrodomestici con miglioramento condizioni lavoro servitù…) avevano secondo lui inaugurato una nuova era di civiltà, della quale anche le classi meno fortunate potevano beneficiare.

Popper aggiungeva come l’indigenza fosse madre delle invenzioni e come gli esperimenti primitivi – fuoco per proteggersi, clava per difendersi – richiedessero fantasia, rischio e coraggio. La vita delle persone come quella delle imprese è invenzione, rischio, coraggio!

L’Uomo, al centro di tutto per spiegare una dicotomia solo apparente

C’è un comune denominatore in tutte queste osservazioni, che può aiutarci a superare la presunta dicotomia tra business ed etica: l’Uomo. Che sia autore di astratte elucubrazioni, creatore di utilissime invenzioni o guida in strutture organizzate è sempre l’Uomo al centro, fautore e responsabile in positivo e negativo. Forse questo può esser il punto di svolta per l’impresa odierna. Il recupero di una maggiore umanità/attenzione all’immaterialità/intangible assets come fattore di equilibrio e sviluppo dell’impresa stessa.

I tempi difficili che la nostra società vive sono anche ricchi di possibilità per la riaffermazione di questo rapporto.  Un’epoca in bilico tra progresso e recessione, nella quale forse iniziano a riaffermarsi i valori dell’uomo, del bene comune, del proprio lavoro anche al servizio degli altri. L’impresa come un soggetto anche al servizio della società. Etica come impresa alla ricerca del talento umano.

L’impresa come affermazione del talento umano

Richard Florida, nel suo “L’ascesa della nuova classe creativa”, era riuscito a capire che i talenti rappresentavano la nuova vera ricchezza delle città, dimostrando come – dopo anni di ricerche – determinati centri urbani conoscessero veri e propri rinascimenti produttivi mentre altri non sembrassero in grado di frenare il declino industriale. La differenza consisteva principalmente nel saper attrarre menti creative, capaci di offrire innovazione e portare idee dirompenti, spingendo le imprese stesse a spostare le proprie sedi e investire nei luoghi in cui la creatività si concentra e preferisce vivere. Dunque l’impresa come recupero di luoghi ed affermazione del talento umano.

Negli ultimi anni si è parlato molto del rapporto tra business ed etica anche in relazione agli scandali che hanno accompagnato l’implosione del sistema finanziario. I principi che governano l’azienda, i rapporti con il fattore umano, il sistema di regole interne che qualifichino in modo positivo i comportamenti aziendali ed altro ancora.

Gli obiettivi del fare impresa tra natura e cultura

Ma molte domande restano sempre in attesa di risposte concrete: che ruolo deve avere l’impresa all’interno del sistema delle relazioni sociali? Qual è il peso della remunerazione del capitale rispetto al fattore umano? L’impresa riesce a domare quella sua essenza animale e per certi versi prevaricatrice di interessi?

Negli anni le regole e la presa di coscienza collettiva hanno permesso un miglioramento del rapporto tra ciò che è etico all’interno dell’attività d’impresa anche se spesso si è tradotto in meri atti formali. Ma la sua natura tende sempre a spostarla verso l’opposto. È necessario che l’aspetto economico non finisca per sopraffare tutti gli altri negando la coesistenza di valori autenticamente morali, etici e soprattutto culturali. E purtroppo non dobbiamo dimenticare che una buona parte del pianeta questo cammino non l’ha ancora iniziato!

Nonostante oggi quasi tutte le imprese globali si sforzino di attuare processi etici, socialmente sostenibili e ci mostrino con dati pubblicati ogni anno nei loro bilanci come si impegnino in questa attività, ciò non impedisce che si creino i casi “Enron” dove ricordiamo che uno dei suoi massimi dirigenti ha sempre affermato che l’azienda in tutti i business che sviluppava aveva un comportamento impeccabile.

La ricerca di un equilibrio morale tra etica e business  

A mio parere l’azienda nasce e prospera grazie alla creatività e all’ingegno delle persone che mettendo a disposizione il loro talento la fanno crescere integrandola nell’ambiente che la circonda e nell’interesse loro e della comunità. Cercare di far coincidere gli interessi privati con quelli dell’impresa è compito arduo. Spesso l’eticità viene confusa o spesso ricoperta da un velo di nuovo mecenatismo e/o anche assistenzialismo. Difficile dire quale sia il sistema che metta in equilibrio esigenze così diverse. Io penso che si potrebbe strutturare il rapporto secondo uno scambio, una redistribuzione delle opportunità tra l’azienda e il capitale umano emergente (per esempio i giovani). Partire da concetti semplici ma più facilmente attuabili come alcuni programmi già posti in essere da alcune realtà imprenditoriali.

Un concetto di fare impresa che incarni i valori che potrebbero essere i binari di un futuro più sostenibile dove interessi privati ed esigenze sociali potranno anche avere un fine ultimo comune. Questo per cercare risultati non solo di breve termine ma anche di medio lungo, e che siano portavoce di un modo consapevole, sensibile di fare business, per costruire quello che Friedman chiama un modello di società morale, ispirandosi ai filosofi illuministi.