Nella copertina di “Time”, che nel 2010 lo consacrava “Uomo dell’anno”, l’espressione di Mark Zuckerberg era molto diversa da quella sfoderata di fronte al Congresso degli Stati Uniti, solo otto anni dopo. L’enfant prodige della Silicon Valley ha le stesse lentiggini e lo sguardo incredulo per il successo planetario, ma anche la recente consapevolezza di reggere sulle proprie spalle i diritti e le aspettative di oltre due miliardi di persone. Un peso ben più gravoso di quello di un capo di stato. Se fosse una nazione, infatti, Facebook sarebbe più popolosa persino della Cina.
Dai like ai numeri record
Dalla creazione nel 2004, all’approdo a Wall Street nel 2012, dalle diatribe legali per l’attribuzione della paternità allo scandalo Cambridge Analytica, Mark Zuckerberg non ha mai passato la mano, anche davanti all’offerta miliardaria di Microsoft, ed è rimasto saldamente al timone di Facebook. Un’azienda nata per superare il fallimento di una relazione sentimentale – secondo alcuni -, sfruttando le intuizioni partorite da amici e colleghi di studi – secondo altri. Ma se sulle origini ci sono speculazioni differenti, i numeri mettono tutti d’accordo: con 2,2 miliardi di iscritti attivi almeno una volta al mese, nel primo quarto del 2018 la società ha registrato 11,97 miliardi di dollari di ricavi, meglio delle previsioni degli analisti che attendevano 11,41 miliardi di dollari. I ricavi sono cresciuti del 49 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017. Gli utili netti trimestrali sono stati 4,99 miliardi di dollari, in crescita del 63 per cento su base annua.
Dal dormitorio a Wall Street
I genitori si accorsero che a Mark piacevano i computer molto prima che lui fondasse la piattaforma social più grande al mondo: a 12 anni inventò per il padre dentista un software di messaggistica. “Una delle più chiare esigenze era che lo studio fosse connesso a casa nostra. I medici e gli igienisti avevano bisogno di condividere i dati relativi ai pazienti. Così costruii un sistema grazie al quale papà poteva comunicare con le persone in giro per le stanze ma anche con me e mia sorella al piano di sopra. Lo chiamai ZuckNet”, racconta il diretto interessato al podcast “Master of Scale” di Reid Hoffman.
Il giovane Mark però non riesce a terminare gli studi: la sua creatura vede la luce ed esplode prima che lui possa concludere il percorso accademico. Così, tornato nella sua università nella veste di guru digitale, Mark dirà nel 2017: “Se concluderò questo discorso, sarà la prima volta in cui riuscirò a portare davvero a termine qualcosa ad Harvard” (qui il suo discorso integrale, ndr).
Nel campus Mark si fa subito la reputazione di mago dell’informatica: nel 2003 inventa Facemash, il precursore di Facebook e alla fine dello stesso anno viene avvicinato dai gemelli Winkelvoss per partecipare alla codifica di HarvardConnection, una piattaforma riservata agli studenti di Harvard. Zuckerberg accetta e qualche settimana dopo comincia a lavorare in segreto a un servizio simile: è il 2004 e thefacebook.com vede la luce con l’aiuto di Dustin Moskovitz, Chris Huges ed Eduardo Saverin. Ai fratelli bastano pochi mesi per accusare l’ex compagno di aver rubato l’idea originale, incassare 65 milioni di dollari e chiedere anche l’annullamento dell’accordo raggiunto per ottenere un compenso commisurato all’exploit di Facebook.
In otto anni, quello che era nato come un diversivo in un dormitorio di Harvard, si trasferisce nella Silicon Valley, raggiunge prima 800 fra università e college per poi aprirsi anche ai non studenti, e conquista la fiducia di diversi fondi di venture capital (12,7 milioni di dollari da Accel Partners, poi 27,5 milioni di dollari da Greylock Partners, Meritech Capital Partners e altre società).
I profitti iniziano ad arrivare con il negozio di regali virtuali e la piattaforma mobile (2007), ma soprattutto con l’introduzione del popolare tasto “Like” (2009). Raggiunti gli 800 milioni di utenti, nel 2011 Facebook scalda i motori dell’ipo a Wall Street: Goldman Sachs investe 450 milioni di dollari nel social network, Digital Sky Technologies investe 50 milioni. Il valore della società schizza a più di 75 miliardi. Dopo il consolidamento, l’espansione: tra il 2012 e il 2014 l’acquisizione di Instagram e Whatsapp.
Dalla T-shirt alla grisaglia
I dubbi sul modello di business di Facebook iniziano proprio dopo lo shopping. Nel 2015 la società è sospettata di violare la privacy dei suoi utenti: sono sei i Paesi europei che aprono un’indagine sul colosso dei social media, per la gestione dei dati di oltre 300 milioni di utenti del Vecchio Continente. L’ipotesi è che il social, incrociando le informazioni di servizi come Instagram e WhatsApp, invii messaggi pubblicitari mirati. Nel mirino anche l’uso dei popolarissimi “Like” per tracciare le abitudini di chi naviga su internet.
Una prova generale del Data Gate 2018 che ha portato il timido Zuckerberg a dover rendere conto al Congresso. Con l’abito di grisaglia sono arrivate le ammissioni di colpa, le scuse e la definitiva perdita della verginità manageriale. Intanto gli utenti continuano a mettere “Like” e gli utili a correre.