Il report di SVIMEZ sugli effetti del coronavirus al Centro-Nord e al Sud

La società e l’economia italiane sono attraversate dalla più grave crisi della storia repubblicana. Del tutto inattesa, di natura esogena, dai tempi di propagazione più rapidi tra mercati e paesi, dagli impatti sui livelli di attività economica e sul lavoro più profondi, più concentrati nel tempo e più pervasivi tra settori e territori rispetto all’ultima grande crisi avviatasi a fine 2008. L’epidemia ha messo sotto stress le strutture sanitarie delle aree più forti del paese, soprattutto la Lombardia e, con la progressiva diffusione del contagio da Nord a Sud, il rischio che possa investire anche il Mezzogiorno, strutturalmente meno pronto ad assorbire l’onda d’urto dell’epidemia Covid-19, è ancora concreto anche se la curva del contagio segue una dinamica relativamente piatta fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria. Segno che il timore di comportamenti meno responsabili al Sud si è rivelato, per il momento, immotivato e che, probabilmente, la consapevolezza delle carenze dei servizi sanitari locali ha funzionato da incentivo individuale ad attenersi alle regole stringenti definite per il contenimento del contagio.

L’emergenza sanitaria si è presto tradotta in emergenza sociale ed economica. I primi settori ad essere colpiti sono stati quelli direttamente interessati dalla riduzione dei flussi di merci e persone dall’area asiatica, epicentro iniziale dell’emergenza. Si è trattato di uno shock congiunto di domanda e offerta, per effetto, rispettivamente, del calo della domanda dei servizi di logistica, trasporto e viaggi, e del blocco delle relazioni tra imprese coinvolte nelle catene globali del valore. Con pesanti ripercussioni che hanno progressivamente rese incerte le tempistiche di approvvigionamento, compresso il fatturato, intaccato il capitale circolante, compromesso la liquidità e, da ultimo, costretto molte imprese italiane, soprattutto quelle più esposte sui mercati internazionali, a contrarre l’occupazione.

Gli impatti sociali ed economici della crisi si sono poi estesi a pezzi sempre più ampi del tessuto produttivo per effetto del progressivo inasprimento delle misure introdotte per contenere l’emergenza epidemiologica. Queste sono culminate nella chiusura delle attività di commercio al dettaglio ad eccezione di quelle legate alla vendita di generi alimentari e di prima necessità individuate dal DPCM dell’11 marzo e, successivamente, con il DPCM del 22 marzo, nel blocco della produzione in tutti i settori diversi da quelli connessi alla filiera dell’agroalimentare, e alla fornitura dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali.

Il lockdown costa 47 miliardi al mese, 37 al Centro-Nord, 10 al Sud. Considerando una ripresa delle attività nella seconda parte dell’anno, il Pil nel 2020 si ridurrebbe, in base a un report redatto dagli economisti della SVIMEZ Salvatore Parlato, Carmelo Petraglia e Stefano Prezioso, coordinati dal Direttore Luca Bianchi, del -8,4% per l’Italia, del -8,5% al Centro-Nord e del -7,9% nel Mezzogiorno. Dal report emerge che:

1) l’emergenza sanitaria colpisce più il Nord, ma gli impatti sociali ed economici “uniscono” il Paese

2) il Sud rischia di accusare una maggiore debolezza rispetto al Centro-Nord nella fase della ripresa, perché sconta inevitabilmente la precedente lunga crisi, prima recessiva, poi di sostanziale stagnazione, dalla quale non è mai riuscito a uscire del tutto.

3) Occorre completare il pacchetto di interventi per compensare gli effetti della crisi sui soggetti più deboli, lavoratori non tutelati, famiglie a rischio povertà e micro imprese.

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