Chi nella vita ha subito una frattura lo sa bene: la guarigione è lenta, è necessario stare a riposo e spesso sono necessari molti mesi per il completo recupero. La prospettiva cambia se mettiamo in ballo le proprietà di alcuni nuovi materiali, formulati ad hoc in laboratorio: sostanze che hanno la capacità di mimare l’impalcatura delle ossa, stimolare le cellule a riprodursi e che possono fungere da vera e propria colla per catalizzare il processo di rigenerazione del tessuto e ripristinare il danno quanto prima. Lo ha scoperto un team di ricercatori della Carnegie Mellon University (Pittsburgh), che ha sviluppato e testato le potenzialità sul campo di un nanomateriale, il grafene, modificandolo chimicamente per renderlo simile al tessuto poroso delle ossa, biocompatibile e biodegradabile.
Lo studio, appena pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, ha per ora dimostrato come questa struttura, opportunamente modificata, possa funzionare in vitro e anche su organismi viventi (nello specifico, topi da laboratorio), e apre la strada ai test sull’essere umano. Ma perché proprio il grafene? E quali sono, allargando lo sguardo, le altre opportunità di questo materiale in medicina?
Un materiale da Nobel
Innanzitutto, di cosa parliamo quando parliamo di grafene? Si tratta del materiale più sottile che esista, tanto che per l’applicazione possiamo tranquillamente considerarlo bidimensionale, come se fosse semplicemente una superficie. Consiste infatti di un unico strato di atomi di carbonio disposti in una struttura a reticolo e ha uno spessore almeno un milione di volte inferiore a quello di ogni nostro singolo capello.
Allo stesso tempo, è il materiale più resistente che conosciamo: almeno duecento volte più robusto dell’acciaio, dicono i suoi pionieri, gli scienziati Andre Geim e Konstantin Novoselov, che nel 2010 si sono aggiudicati il premio Nobel per la fisica.
Non bastasse, conduce elettricità meglio di moltissime altre sostanze – persino del silicio, il re dei processori – e può essere elaborato chimicamente in moltissimi modi, aspetto che apre a un’ampia gamma di proprietà e alle applicazioni più disparate. È per questo che sono centinaia, e sparsi in tutto il mondo, i gruppi di ricerca al lavoro per concretizzarle l’uso in nuove tecnologie e dispositivi.
Non solo protesi
Tra questi, il gruppo della Carnegie Mellon ha ottenuto di certo uno dei risultati più avanzati. Il cuore dell’idea è stato riuscire a conferire al materiale proprietà chimiche e meccaniche molto simili a quelle delle ossa reali e, allo stesso tempo, il potere di innescare la crescita e la differenziazione di cellule staminali, i precursori di tutti i tessuti del nostro organismo.
Ma le prospettive per il grafene in ambito medico sono tante, e anche molto diverse da questa. Oltre alla tissue engineering (letteralmente, ingegneria dei tessuti), la ricerca biomedica attorno a questo materiale è molto vivace sul fronte dei farmaci, in particolare nel drug delivery, il processo che consente il recapito di un principio attivo al suo preciso bersaglio farmacologico. Superfici piane e facilmente modificabili come il grafene possono facilmente essere caricate con molecole di un medicinale, trasformandosi in piattaforme per il rilascio selettivo: per esempio, portando un chemioterapico solo alle cellule tumorali e non a quelle sane, in modo da rendere le terapie più efficaci e ridurre i danni degli effetti collaterali.
Per le stesse proprietà, il grafene si presta molto bene a diventare materia prima per lo sviluppo di sensori intelligenti in scala nanometrica e ultrasensibili da inviare all’interno dell’organismo per processi di diagnosi avanzata e il monitoraggio dell’attività di organi e tessuti, come per esempio quella cerebrale.
La sicurezza prima di tutto
In parallelo alla caccia all’applicazione, il grafene è al centro dell’attività di moltissimi gruppi di ricerca alle prese col suo risk assessment, la valutazione della sua sicurezza. E non solo per noi, ma anche per gli altri esseri viventi e l’ambiente.
I suoi effetti a lungo termine nei confronti degli organismi non sono ancora così chiari, e vanno analizzati in base al tipo di applicazione, al tessuto coinvolto, in pratica da caso a caso. Ed è un processo piuttosto lungo, come avviene d’altronde per i farmaci e i dispositivi medici.
C’è molta fiducia nelle sue potenzialità, insomma, ma non mancano interrogativi e controversie.