Giorgio Armani, il mancato medico che ha saputo diventare re della moda

Per i milanesi Armani vuol dire il mega poster di via Broletto che dal 1984 mostra il volto della maison, per gli appassionati dei tagli sartoriali è l’inventore della giacca destrutturata, per tutto il mondo è uno dei brand italiani più prestigiosi e iconici. Re Giorgio ha conquistato un posto permanente nella storia della moda rispettando per oltre 40 anni un’unica regola: “La legge del lusso non è aggiungere, ma togliere”.

 

Dalle vetrine alle passerelle

Nasce a Piacenza nel 1934 da una famiglia normale, con un padre impiegato, una sorella e un fratello. Nel 1949 si trasferisce con i genitori a Milano e qui, nel 1953, si diploma al Liceo scientifico Leonardo da Vinci. Inizia a studiare Medicina, ma dopo tre anni deve abbandonare la facoltà per svolgere il servizio militare. Quando torna alla vita civile si sente in ritardo e senza un mestiere. Nel 1957 prova a bussare alle porte della Rinascente e grazie alle foto scattate alla sorella Rosanna viene scelto come vetrinista e poi come buyer di abbigliamento.

La sua attività come stilista vero e proprio comincia nel 1965 quando entra nella Hitman di Nino Cerruti. Il suo primo incarico è il disegno di un nuovo tipo di giacca comoda ma comunque elegante. Nei cinque anni seguenti riesce a lavorare bene come freelance per altre aziende e per la moda femminile, conquistando spazio anche sulla passerella fiorentina di Palazzo Pitti. Nel 1974, con la linea Armani by Sicons, usa per la prima volta il suo nome per firmare una collezione e decide a quel punto di creare un suo marchio personale. Lo fa un anno dopo con l’incoraggiamento e il sostegno del partner lavorativo e compagno di vita Sergio Galeotti (morto prematuramente solo 10 anni dopo).

La Giorgio Armani S.p.A. nasce nel 1975 con un capitale sociale di 10 milioni di lire che secondo alcune ricostruzioni arriva dalla vendita della Volkswagen usata dello stilista. Di quel periodo racconterà: “Tutti facevamo un po’ tutto: l’amministratore chiudeva le scatole di cartone che contenevano i vestiti da spedire, l’aiutante del disegnatore faceva le fotocopie, la segretaria riceveva le richieste. Nel 1976 i ricavi ammontarono a 569 milioni di lire, pochi ma ci sembravano molti, eravamo partiti da zero l’anno prima”. Oggi la sua fortuna è stimata in 10,4 miliardi di dollari e lo posiziona sul gradino 173 della classifica dei paperoni di Forbes.

 

L’incoronazione e la prova più difficile

Il successo con la S maiuscola arriva praticamente subito e non si arresta. Lo stesso Giorgio ricorda quel periodo: “Correva l’anno 1979 e fui insignito a New York del Neiman Marcus Award. Negli stessi giorni Saks Fifth Avenue organizzò un trunk show della mia collezione. Ebbene, quella che doveva essere una piccola sfilata riservata a un ristretto gruppo di clienti affezionati si trasformò in un evento ripetuto per più giorni. Fu l’inizio del mio successo”.

Un successo che ruoterà intorno alla sua idea totalmente innovativa di giacca: pensando a chi l’avrebbe indossata, Armani la smonta, la priva dell’impalcatura fatta di imbottiture e controfodere, altera le proporzioni, dispone i bottoni in modo diverso, ruba all’oriente i colli geometrici e rigorosi. “Ho costruito un tipo di giacca rilassata, informale, meno rigorosa, che lascia intuire il corpo e la sua sensualità”.

Nel 1981 apre a Milano il primo Emporio Armani, uno store di abbigliamento casual dai prezzi contenuti, in denim, nel cuore del Quadrilatero del lusso. Non mancano le critiche, ma in pochissimo tempo i suoi jeans low cost con l’aquilotto sono ambiti da tutti. La rivista “Time” (è il 1982) lo mette in copertina come uomo dell’anno.

La prova più dura arriva di lì a poco: Sergio Gallotti muore nel 1985 e Armani vacilla, costretto a prendere il controllo dell’azienda e a scoprirsi anche imprenditore a tutto tondo. “Fu durissimo – confida molti anni dopo. – Nessuno credeva che ce l’avrei fatta, a parte la mia famiglia. Molti prevedevano il mio crollo psicologico”. Ma nei sei anni seguenti il fatturato dell’azienda triplica.

 

Il segreto della diversificazione

Cosmetici, occhiali, arredo e design, ristoranti e alberghi, fiori, musica, sport, arte. Non c’è settore nel quale Giorgio non abbia voluto gettare un seme, applicando uno dei principi cardine del business.

Schivo al limite della timidezza, ha preferito apparire attraverso grandi collaborazioni con Hollywood e il grande sport. Richard Gere in American Gigolò, Leonardo Di Caprio in The Wolf of Wall Street, Tom Cruise in Mission Impossible: Protocollo fantasma, Christian Bale ne Il cavaliere oscuro: le star del grande schermo vestono le sue creazioni. Nel 1999 produce il documentario di Martin Scorsese sul cinema italiano Il mio viaggio in Italia.

Ha disegnato le divise di tanti club calcistici (dal Piacenza Football Club 1919, al Chelsea e alla Nazionale di calcio inglese), e della delegazione italiana ai Giochi Olimpici (nel 2014, 2016 e 2018) ma ha trovato nel basket la sua vocazione. Prima sponsor della squadra di pallacanestro dell’Olimpia Milano, nel 2008 ne diventa il proprietario.

Per festeggiare i 40 anni di attività, Armani rileva un ex deposito di granaglie della Nestlé, a Milano, in via Bergognone, è apre un suo spazio museo. “Ho scelto di chiamarlo Silos perché lì venivano conservate le granaglie, materiale per vivere. E così, come il cibo, anche il vestire serve per vivere”, ricostruisce. Nei quattro piani una selezione di abiti dal 1980 a oggi conduce alla scoperta del suo mondo, e si affianca alle esposizioni temporanee. Ordine, razionalità, pulizie delle forme: capi e architettura rispettano le stesse regole e dialogano per raccontare come un mancato medico ha saputo diventare re della moda.