Dal 21 febbraio al Museo Poldi Pezzoli di Milano è in scena la mostra “Memos. A proposito della moda in questo millennio”, a cura di Maria Luisa Frisa e Judith Clark, per cui Tendercapital ha collaborato come partner ufficiale grazie al suo incubatore d’arte TenderToArt. Un grande progetto quello di Memos, supportato e realizzato grazie alla cooperazione tra il Museo e la Camera Nazionale della Moda Italiana, il Ministero degli Esteri, ICE agenzia e il Comune di Milano.

 

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Carlo Capasa;Maria Luisa Frisa;Judith Clark;Annalisa Zanni;Moreno Zani

 

Il titolo della mostra è esplicativo del suo contenuto. La parola “Memos” nasce infatti da Lezioni Americane – uno dei libri più celebri di Italo Calvino – in cui l’autore traccia sei memorandum (da qui il termine Memos, appunto), sei parole chiave che avrebbero raccontato il millennio a venire. Seguendo lo stesso metodo usato da Calvino, fatto di connessioni e rimandi, la mostra vuole generare una domanda: la moda può essere considerata una pratica letteraria, poetica e scientifica, una fonte di riflessione anche per tematiche che esulano dalla sua natura? Concetti a cui, nel mondo di oggi, possiamo aggiungere anche quelli di innovazione e sostenibilità, diventati indispensabili per chi cerca e condivide una visione innovativa della moda con un approccio rivolto ai nuovi modelli di consumo e ai nuovi mercati digitali.

 

 

“La moda non è solo una questione di vestiti: è soprattutto una disciplina che affronta la contemporaneità, la interroga, la definisce senza chiuderla.”

Maria Luisa Frisa 

 

La mostra, attraverso una incredibile selezione di oggetti, quali abiti firmati, riviste ed ephemera, vuole esplicitare l’idea di Calvino ricreando un percorso espositivo molto particolare e soprattutto tridimensionale, attraverso cui il fruitore possa accendere una riflessione sulla moda in continuo divenire. Lo scopo di Memos è proprio quello di costruire un vero e proprio “discorso sul metodo”, partendo dagli spunti di Calvino e arrivando fino alle note di Diana Vreeland, già direttrice di Vogue America. A dar voce ad alcuni dei materiali in mostra, ecco infatti anche interlocutori eccellenti come la scrittrice Chiara Valerio e la regista Roberta Torre, che descrivono gli oggetti secondo le rispettive immaginazioni.

 

Gli oggetti esposti

Come poter cominciare, quindi, questo percorso di riflessione sulla moda del nostro millennio? Innanzitutto partendo dalla visione degli oggetti esposti, che hanno creato e fanno parte della storia della moda: abiti iconici, per esempio, firmati Balenciaga, Burberry, Chanel, Dior, Fausto Puglisi, Fendi, Armani, Giambattista Valli, Gucci, Versace, Valentino, Ferragamo, Prada e molti altri.

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Oltre alle creazioni couture, arricchiscono la mostra anche molti “ephemera”: accessori, riviste celebri, fotografie e curiosità, con richiami più o meno stretti al mondo del fashion. È una raccolta di materiali molto varia: dai servizi fotografici selezionati da Stefano Tonchi – con pagine che raccontano la storia dell’editoria di moda – al catalogo della mostra Disobedient Bodies 14, curata dal famoso designer J.W. Anderson, fino ad arrivare al libro fotografico della collezione primavera/estate 1990 di Romeo Gigli, un viaggio fra atmosfere bizantine di mosaici ravennati e diafane figure femminili che richiamano l’imperatrice Teodora.

 

Il Museo

Il Museo milanese Poldi Pezzoli è la casa-museo di via Manzoni, situato proprio tra il Teatro alla Scala e le vie del triangolo della moda.

Nato nella seconda metà dell’ottocento, il Museo ospita di frequente allestimenti, istallazioni e mostre di moda, come l’indimenticabile “1922-1943: Vent’anni di moda italiana” – del 1980 – a cura di Grazietta Butazzi. La mostra, proprio come l’attuale di Memos, aveva il fine di celebrare la moda e – al tempo stesso – valorizzarla come spunto di indagine storica, critica e curatoriale. Partendo da questi presupposti e considerazioni, è nata così la scelta di riattivare il legame tra gli spazi Poldi Pezzoli e la moda, attraverso una riflessione critica sotto forma di esposizione.

 

“La mostra è insieme opera aperta e atteggiamento scientifico e poetico, esercizio di ricerca e di progettazione”