Riconoscimento facciale, a che punto siamo e cosa dobbiamo aspettarci

Danno il nome giusto ai tuoi amici sulla vostra ultima foto insieme. Ti fanno accedere ai dati sul computer o al tuo smartphone dandoti una semplice occhiata dalla fotocamera. Possono aiutarti a velocizzare i pagamenti, perché riescono a identificarti con uno sguardo. I software per il riconoscimento facciale permeano già da tempo i device che usiamo ogni giorno, con funzioni che spaziano dal postare fotografie sui social a esigenze più pratiche, come appunto la sicurezza digitale e gli acquisti.

Come funzionano? E in quanti modi possono cambiarci la vita?

 

Uno sguardo più che clinico

I sistemi per il riconoscimento facciale esistono grazie ad algoritmi per l’intelligenza artificiale formulati per analizzare e trovare somiglianze e differenze tra i volti immortalati in video e immagini fotografiche. Le dimensioni e la distanza tra gli occhi, le caratteristiche del naso, la forma del viso, l’allineamento dei denti. Anche in 3D, con la possibilità di riconoscere gli individui in modo ancor più preciso, seguendone le linee del mento, l’infossatura degli occhi, la sporgenza degli zigomi, il profilo del naso. E non solo: è possibile direzionare l’attenzione anche sulla texture della pelle, così come sui suoi possibili difetti, e in modo sempre più accurato man mano che le riprese crescono in risoluzione e gli algoritmi si fanno più sofisticati.

In qualche modo, è come se analizzassero a distanza le nostre impronte digitali. Senza però la necessità di toccarci né di chiederci, il più delle volte, alcun permesso.

 

Il caso della Cina

Riconoscimento facciale e telecamere

Non è solo nei nostri dispositivi privati che questi sistemi hanno preso a “vivere”. L’allerta terrorismo ha sicuramente fatto pressione per lo sviluppo di servizi a garanzia del cittadino, capaci di proteggerlo nelle situazioni di maggior rischio o affollamento, come stazioni, metropolitane, stadi, cinema, fiere e grossi eventi pubblici. Le telecamere a circuito chiuso, di cui moltissime città e ambienti molto frequentati sono tappezzati, in alcuni casi sono già state arricchite da meccanismi per il riconoscimento.

Un esempio su tutti è sicuramente quello della Cina, in prima linea sui programmi di sorveglianza e che da qualche mese ha adottato persino un prototipo di visore dotato di sistema di riconoscimento facciale per alcune squadre di poliziotti. Si tratta di particolari occhiali che captano volti e movimenti delle persone che scorrono loro davanti e li inseriscono in database pronti per tornare utili (per esempio) in caso di problemi di ordine pubblico.

Chi è già schedato e non dovrebbe trovarsi in un luogo, in particolare, potrebbe essere fermato in tempo. Nel giro di pochissimi giorni dal lancio dell’iniziativa, erano già sette i fuggitivi riconosciuti e una ventina i casi di frode d’identità scovati alle porte di una stazione ferroviaria.

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Basta stragi nelle scuole USA

Altri early adopter di queste tecnologie sul piano pubblico sono alcune scuole statunitensi, provate ormai da diversi anni dal susseguirsi di tragiche sparatorie di massa. Ai sorveglianti viene segnalato in tempo reale se c’è un intruso oppure una persona già schedata come violenta o molesta, studenti sospesi, membri di gang o chiunque faccia parte di una “lista nera”. Se c’è un’arma di mezzo, alcuni software captano e identificano anche quella.

Al momento il software, reso disponibile gratuitamente dalla company che lo ha sviluppato, è attivo come “pilota” in alcuni istituti di Seattle, ma presto il progetto assumerà dimensioni più rilevanti.

 

Non solo identificazione, non solo sicurezza pubblica

Oltre a risalire all’identità delle persone, esistono anche software capaci di studiare gli atteggiamenti e le espressioni facciali. Se una persona è alterata, spaventata o semplicemente stanca.

Proviamo a immaginare se un sensore sulle auto potesse segnalare in anticipo quando il conducente sta per crollare in un attacco di sonno, per esempio, o quando è troppo nervoso per stare al volante. Oppure pensiamo se gli insegnanti potessero sondare la soglia di attenzione dei propri allievi durante le loro lezioni dal monitoraggio delle loro espressioni e dal loro sguardo.

Sul secondo caso, in realtà, c’è ben poco da immaginare: in Cina una scuola media ha davvero messo in pratica questo sistema, non senza innescare moltissime perplessità.

 

Un dibattito (molto) aperto

Disinnescare potenziali attacchi terroristici è di certo una missione nobile, così come lo è provare a migliorare un sistema scolastico identificando i metodi che innalzano la soglia di attenzione degli studenti. Ma dove si colloca la soglia tra la liceità e l’invasione della privacy di una persona? Quello sull’uso pubblico del riconoscimento facciale è un dibattito enorme, che non lascia scampo alle aziende e le istituzioni che ne promuovono l’uso.

E non potrebbe essere altrimenti: il nostro volto è di fatto diventato una chiave d’accesso per la gestione dei nostri averi, dei nostri dispositivi… ma anche una discriminante tra l’essere o meno ammessi in un luogo o, in caso estremo, il peso sulla bilancia della giustizia tra l’essere in libertà (oppure no).

Siamo sicuri che si tratti di sistemi così avanzati e precisi da potersi dire attendibili? E in che ambiti e fino a che punto la loro applicazione può essere considerata etica? La verità è che si tratta di tecnologie in parte ancora immature, con margini di errore non indifferenti, e che lo sviluppo di policy sulla loro gestione (in ogni caso, ma soprattutto a livello globale) è in fase poco più che embrionale. C’è di sicuro ancora molto lavoro da fare.