Il ritorno di Luciano Benetton, il signore dei maglioni colorati che uniscono il mondo

Tornare a colorare il mondo: a 82 anni Luciano Benetton ha rinunciato alla tranquilla vita del pensionato per realizzare questa missione e salvare l’azienda di famiglia. Quando nel 2008 era uscito di scena dal brand famoso per i maglioni color block dai prezzi pop, i conti godevano di buona salute con un attivo di 155 milioni di euro e quasi 10mila dipendenti. Nel 2016 le perdite hanno sfiorato gli 81 milioni, i dipendenti sono calati a circa 7mila e le tintorie interne sono state chiuse. Senza giri di parole, Benetton ha bollato questa situazione come “un dolore intollerabile”.

 

I maglioni multiculturali

Secondo il suo pater familias il gruppo avrebbe commesso due errori strategici gravissimi: avere smesso di fabbricare gli amati maglioncini e avere tradito quello spirito multiculturale e innovativo che aveva precorso i tempi.

L’avventura della famiglia Benetton era iniziata infatti nel 1965 a Castrette, nel Trevigiano, grazie a intuizioni tecnologiche a quel tempo fortemente innovative: invece di usare lane di colori diversi per i maglioni, venne fatta la scelta di utilizzare la lana grezza per realizzare tanti modelli diversi che poi venivano tinti a seconda delle esigenze della moda, in modo da essere più veloci nel riassortimento dei negozi.

I colori dei pullover sono diventati presto metafora dei colori uniti dei giovani di diversa nazionalità cui i maglioni erano destinati. Nel 1989 lo slogan “tutti i colori del mondo” divenne presto l’anima del gruppo tanto da evolvere verso il marchio “United Colors of Benetton”. Con l’ampliarsi dei mercati di riferimento, il concetto si è allargato fino a comprendere, oltre alle razze diverse, i concetti di tolleranza, di pace, di rispetto delle diversità.

A realizzare questo posizionamento “politico” sono state soprattutto le campagne pubblicitarie fortemente trasgressive realizzate da Oliviero Toscani, il fotografo secondo il quale “il conformismo è il peggior nemico della creatività. Chiunque sia incapace di prendersi dei rischi non può essere creativo”. I suoi scatti in cui un prete bacia una suora o un israeliano abbraccia un palestinese fanno discutere anche al di fuori del mondo della moda.

Nel 2011 la campagna UNHATE si era basata su una serie di fotomontaggi di Erik Ravelo in cui vari potenti della terra si scambiano baci in bocca. La foto che ritraeva un bacio tra Papa Benedetto XVI e un Imam, aveva scatenato una polemica fortissima.
Luciano Benetton è così convinto dell’importanza delle campagne per sancire il successo del suo brand da decidere di inaugurare un laboratorio interno: “La comunicazione non si deve comprare da un fornitore esterno, deve nascere dal cuore dell’impresa”. Con questo spirito nasce nel ’94 Fabrica, un centro di ricerca sulla comunicazione finanziato dal Gruppo Benetton.

Proprio dall’immagine pubblica del brand riparte oggi Benetton. Nell’intervista a Francesco Merlo, Luciano ha spiegato: “Torno in campo come allora, con mia sorella Giuliana che a 80 anni ha ripreso a fare i maglioni. E con Oliviero Toscani per ripartire dall’integrazione. Non mi piace l’espressione ‘noi l’avevamo detto’, ma l’integrazione, lo ius soli e lo ius culturae, il meticciato dell’arte e dell’antropologia, della poesia e dell’amore, sono gli United Colors: uno stile di vita che abbiamo previsto e forse un po’ anche imposto. A difenderlo ci saremo, di nuovo, anche noi.”

Il manager ispirato dalle piazze e dai cerchi concentrici di Kandiskij rinnova il sodalizio con Oliviero Toscani che a 75 anni suonati non vuole rinunciare alla missione di scandalizzare e stuzzicare l’opinione pubblica. La seconda vita della catena di negozi Benetton è in mano ancora una volta alla coppia Benetton-Toscani: sarà la loro voglia di dar nuovi contenuti all’antico motto “United Colors”.

 

Il problema della transizione

Il brand Benetton ha vissuto il dilemma comune a tanti gruppi italiani: quello di passare il testimone dalla prima generazione dei fondatori a quella dei figli oppure preferire manager esterni alla società per assicurare una gestione più moderna e internazionale.

Dilemma tanto più grande quanto il gruppo ha allargato i confini dei suoi interessi: da pionieri della moda a prezzi accessibili i Benetton sono diventati con il tempo anche signori delle concessioni autostradali in Europa con 14mila chilometri di strade a pedaggio, attraverso il marchio Atlantia. Con la holding Edizione hanno anche investito nella ristorazione (Autogrill) e nell’immobiliare. La parola d’ordine della diversificazione ha costretto però nell’angolo della marginalità il marchio del “folpetto”, cioè polipetto in veneziano.

Nel maggio 2013 i quattro fratelli Luciano, Giuliana, Gilberto e Carlo Benetton avevano provato a lasciare il posto ai rispettivi figli Alessandro, Franca Bertagnin, Sabrina e Christian Benetton. Ma il tentativo di lasciare tutto in famiglia è durato poco: nel 2014 Alessandro lascia la presidenza della società e a novembre 2016 esce anche dal consiglio di amministrazione per divergenze strategiche con la famiglia. Alla presidenza viene nominato Francesco Gori, che arriva dal gruppo Pirelli, mentre nel maggio 2017 a Tommaso Brusò viene conferito l’incarico di chief operating officer. Bisognerà attendere l’inizio del 2015 per veder realizzata, con una serie di scorpori e scissioni, l’organizzazione di Benetton Group in tre realtà distinte: una focalizzata direttamente sui vari marchi (Benetton Group), una manifatturiera (di nome Olimpias) e una per la gestione immobiliare (Schematrentanove).

Adesso con il ritorno in campo di Luciano l’azienda continuerà a essere amministrata dai manager, ma sotto l’occhio vigile e ancora entusiasta di un 82enne che ha troppo a cuore il bene della propria creatura per lasciarla in mani che non sanno tingerla con i colori giusti.