Intelligenza artificiale e lavoro: come sta cambiando il mondo del recruiting

Ricevere centinaia, se non migliaia, di curricula al giorno, selezionare quelli più interessanti, analizzare nel dettaglio quelli più adatti alla nuova posizione, convocarli, e via con i colloqui, spesso più di uno per candidato. È l’iter da percorrere quando un’azienda dà l’ok a nuove assunzioni, una storia infinita che parte dal tavolo dei responsabili della selezione del personale e risale fino ai piani alti, passando spesso anche attraverso altri membri.

La selezione del personale è sicuramente uno dei processi più lunghi e dispendiosi all’interno di una azienda, oltre che uno dei più cruciali: scegliere la persona giusta può rappresentare una grossa svolta in positivo, quella sbagliata un terribile passo falso. Per affrontare questo carico ci si rivolge sempre di più alle intelligenze artificiali (AI) e machine learning.

 

Algoritmi più bravi dell’essere umano?

Se è vero che le aziende hanno accesso col trascorrere degli anni a una maggior varietà di strumenti e informazioni rispetto al passato, identificare la persona giusta per un preciso ruolo è stato finora un processo condotto in modo molto tradizionale, non al passo con le innovazioni disponibili. Ma le cose stanno cambiando. E a dirlo sono colossi del calibro di LinkedIn, che prevedono che l’intelligenza artificiale muterà a breve in modo sostanziale l’attività di selezione del personale.

Dalle chatbot capaci di conversare in tempo reale con i candidati agli algoritmi che possono estrarre subito i più idonei per un determinato ruolo, diverse aziende hanno già adottato l’automazione come prassi per questo tipo di procedure. Ecco quali sono i fronti dove sembra esserci più movimento.

 

Un curriculum dopo l’altro

Un tipico esempio di scoglio apparentemente insormontabile è sicuramente lo screening dei CV, spesso neppure omogenei tra loro. Leggerli tutti, isolare gli aspetti che più ci interessano di quel candidato, confrontarli con quelli di altri candidati: e se a farlo fosse una macchina, anziché un team di persone? Ci hanno pensato alcune startup, che stanno sviluppando algoritmi per raccogliere le informazioni che solitamente vengono racimolate attraverso i cv attraverso format con domande che consentano di identificare meglio le capacità del candidato.

Altre ancora fanno invece l’esatto contrario: raccolgono le qualifiche e le qualità dei propri dipendenti, così come della propria azienda, e costruiscono un’identità virtuale del candidato perfetto, per poi indirizzare la ricerca in un range più ristretto di profili.

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L’assistente virtuale

Ogni volta che si apre la possibilità di nuovi posti di lavoro, di default le imprese pubblicano un annuncio, i candidati si propongono e inizia una sequenza che si ripropone daccapo ogni volta che c’è una posizione disponibile. A ogni “round” si genera una quantità non indifferente di dati, che però viene solitamente abbandonata al turno successivo e bisogna ripartire da zero. Utilizzando un software dedicato, diventa possibile evitare di perdere ogni volta questi dati costruendo semmai una sorta di memoria di ogni contatto del candidato con l’azienda, in maniera del tutto automatizzata, con un risparmio consistente di tempo.

 

Meno pregiudizi

Tra gli aspetti più interessanti di questo nuovo modo di concepire il recruiting, oltre alla possibilità di snellire i processi, c’è anche la possibilità di renderli meno condizionati dal singolo operatore e, quindi, “liberarli” da possibili bias. Un algoritmo, in effetti, può essere molto più imparziale di una persona in carne e ossa. Un valore aggiunto, se si punta a una maggiore diversità sull’ambiente di lavoro: di genere, etnia, età, status sociale, per esempio.

Siamo ben lontani da lasciare che le macchine facciano da sole tutto il lavoro di chi si occupa di risorse umane, ma lavorare sul fronte dei pregiudizi sarebbe già un ottimo punto di partenza.