Hi-tech per l’empatia: come la realtà virtuale e la rete possono aiutare a coinvolgere gli utenti

Il potere evocativo della lettura, in particolare con la diffusione, centinaia di anni fa, dell’alfabetizzazione e della stampa, è stato per moltissimo tempo il principale vettore per la condivisione di prospettive. Diventava finalmente possibile “uscire” in qualche modo dal proprio villaggio e “abitare” per un istante le menti degli altri, che fossero i personaggi o gli stessi scrittori. Le pagine (lo prova oggi anche la scienza) rappresentavano una vera e propria fucina per l’espansione dell’empatia a livello sociale. Radio e televisione, aprendoci a una percezione multisensoriale, hanno poi alzato il grado di coinvolgimento, fino ad arrivare a strumenti come la realtà virtuale e la realtà aumentata, capaci letteralmente di avvolgerci.

 

Perché viviamo in una “bolla”

Da qualche anno è però chiaro che molta della nostra educazione, sia sul fronte della scienza, della letteratura, dell’arte, ma anche emotiva, si gioca sulle piattaforme della rete e sul campo dei social media. Da un lato funziona: la possibilità di accesso pressoché immediato alle informazioni, il superamento delle distanze, la quantità di dati e fonti oggi disponibili è senza precedenti nella storia. Dall’altro, sono gli stessi esperti di tecnologia, dati e media a mettere in guardia sui limiti di queste tecnologie.

Nel muoverci attraverso i social, per esempio, spesso promuoviamo la formazione di uno “spazio” dove le idee che scambiamo trovano essenzialmente conferma. Pensiamo a un gruppo online dove le persone sono accomunate dalle stesse idee politiche, o mentalità o opinioni. È molto probabile che tale spazio finirà per essere “gonfiato” da informazioni molto simili tra loro, che si fanno in un certo senso l’eco l’una con l’altra: si genererà una cosiddetta echo chamber, termine col quale è stato definito questo fenomeno. Sono gli stessi algoritmi delle piattaforme che tendono in generale a indirizzarci verso informazioni che possano essere allineate con le nostre preferenze, contribuendo così a farci rimanere dentro la nostra bolla (altro termine appositamente introdotto sul tema), solo raramente esposti a prospettive alternative.

 

Dov’è finita l’empatia?

Il problema di tutto ciò? Che questa infrastruttura incoraggia gli utenti a nutrirsi solo di contenuti che riflettono le opinioni che già hanno e tende, di fatto, a polarizzare l’aggregazione delle informazioni e delle persone. In un tale contesto, lo sforzo di accogliere punti di vista diversi dal proprio, la capacità di discutere attorno a un argomento, di aprirsi a nuove prospettive e di mettersi, se serve, nei panni dell’altro, potrebbero venire meno. Il dibattito, così facendo, muore.

 

Gli strumenti per ripartire dalla scuola

Sulla possibilità di poter agire in maniera efficace intorno a questo problema si incontra grande scetticismo. Eppure, tra chi avanza ipotesi, c’è chi suggerisce di sfruttare la stessa tecnologia, o meglio, di impiegare la tecnologia per educare e stimolare gli utenti a espandere le proprie prospettive e opinioni su determinate questioni: a partire dalla scuola.

Si stanno testando tools che provano a reinventare il modo di stare in rete e rendere in qualche modo più “umano” il contatto tra persone online, in particolare per i bambini. Per esempio, il progetto Outschool unisce davanti allo schermo piccoli gruppi di studenti e insegnanti che, in video-chat, possono mettere in gioco i loro intessi condivisi in tempo reale, di modo che l’apprendimento online non si ritrovi a sacrificare gli aspetti legati alla connessione anche emotiva tra le persone. Un tentativo di applicare anche nel mondo online lo stesso modo di percepire e vivere la classe cui si appartiene a scuola, trovandosi però di fronte persone nuove, con esperienze totalmente diverse dalle proprie, che vivono magari dall’altra parte del mondo.

Un altro progetto significativo, sempre in ambito scolastico, è Newsela, una libreria di notizie e contenuti creati apposta per dar modo agli studenti di affrontare e dialogare su tematiche attuali, curiose e anche controverse al di là del classico libro di testo. Insomma, l’insegnante che lo usa si trova davanti a una miniera di spunti di discussione per provare a educare alla condivisione di idee in modo il più aperto e rispettoso possibile.

 

E al lavoro?

Per gli adulti, invece, esistono addirittura sistemi in realtà virtuale per provare a migliorare le proprie doti empatiche, per esempio, nel proprio lavoro. L’esempio più famoso, forse, è Mursion, una piattaforma specifica per la formazione professionale che mette l’utente dinanzi a simulazioni estremamente realistiche della sua giornata lavorativa: una classe di bambini disattenti dinanzi all’insegnante; diversi tipi di pazienti dinanzi all’infermiere; un impiegato dinanzi al manager di turno. L’obiettivo è trasmettere uno stimolo verso lo sviluppo di skill utili per interagire al meglio con gli altri sul posto di lavoro e pronti a ricordarci che, lì attorno, abbiamo solo altri esseri umani come noi.