Hi-tech contro lo spreco alimentare

Ogni anno un terzo del cibo che viene prodotto nel mondo viene perso o sprecato. Più o meno un miliardo e trecento milioni di tonnellate di alimenti che “si perdono per strada” durante la filiera produttiva, ma anche tutti quei prodotti che, pur essendo adatti al consumo umano, una volta giunti al distributore o al consumatore finale finiscono comunque per non essere utilizzati. Un casco di banane che cade dal furgone che le trasporta, per esempio, o un lotto di marmellate confezionate male. Oppure i beni che hanno superato la data di scadenza riportata sulla confezione o, ancora, le porzioni troppo abbondanti dei ristoranti o sulle nostre tavole, i cui avanzi finiscono regolarmente nel cassonetto della spazzatura.

Riuscire a salvare anche solo un quarto di questo cibo significherebbe liberare dalla fame 870 milioni di persone (dati: FAO). Senza contare che allo spreco alimentare si somma quello delle risorse (acqua, terreni, energia, lavoro e capitali) necessarie alla produzione e si associa un’inutile incremento di gas serra, uno dei principali trigger del riscaldamento globale.

La spinta per invertire questa rotta è, senza mezzi termini, una priorità.

Tra gli strumenti che coltivatori, produttori, imprenditori, ristoratori, ma anche i consumatori, hanno a disposizione, vi è senza dubbio la tecnologia. Il suo uso mirato allo sviluppo di un nuovo rapporto col cibo può rappresentare in molti casi la chiave per prevenire lo spreco, così come per il recupero degli scarti e, più in generale, il risparmio.

 

Prevenire lo spreco: il packaging intelligente

Sono i prodotti ortofrutticoli, compresi radici e tuberi, ad avere il più alto tasso di spreco a livello globale, per via ovviamente del loro rapido deterioramento. Sono perciò numerosi gli approcci che mirano a rallentare tale processo.

Tra i progetti più interessanti, l’utilizzo di una sorta di membrana protettiva dotata di una permeabilità particolare. Invisibile, commestibile (poiché ottenuta a partire da estratti vegetali di bucce e semi), la “pellicola” è in grado di trattenere l’acqua all’interno del frutto, contrastando la sua naturale disidratazione, e di bloccare l’ossigeno e i microrganismi all’esterno, preservandolo dall’ossidazione e il deterioramento. Pensate insomma di veder durare una banana nel portafrutta, o nel cestone del supermercato, quasi il doppio del tempo.

Altri studi puntano invece a ottenere imballaggi attivi, smart, non solo in grado di garantire una conservazione prolungata degli alimenti, ma dotati anche di sistemi per monitorarne lo stato attraverso la rete di distribuzione. “Cerotti” sulla confezione che percepiscono i cambiamenti nella composizione del contenuto e cambiano colore quando il cibo si sta guastando, per esempio, ma anche sensori più sofisticati, veri e propri microchip capaci di “parlare” (per esempio, attraverso tecnologia RFID) con dispositivi che consentano agli operatori di organizzarsi e gestire i prodotti in tempo.

 

Ottimizzare i consumi: la stampa 3D

Pensiamo di poter entrare in cucina e, anziché aprire il frigo e metterci ai fornelli, lasciar fare tutto a una stampante 3D, capace di elaborare in tempo reale il cibo che desideriamo, nella quantità che desideriamo, grazie al solo tocco di uno schermo. Il numero giusto di biscotti, per esempio, o la porzione giusta di pane, pasta, o pizza. Anche questa potrebbe essere una strategia vincente, perlomeno per alcune categorie di alimenti (e di consumatori), per far fronte al problema dello spreco alimentare.

E se poi utilizzassimo fondi di caffè, scorze d’arancia, baccelli di legumi, bucce di patata come materiali di partenza per realizzare nuovi oggetti, biodegradabili e a costo zero? Partendo dal presupposto che comunque verrebbero gettati, e dall’osservazione che le stampanti 3D sono sempre più diffuse (con conseguente aumento del volume di resine e plastiche), perché non provare a riciclare gli scarti alimentari come materia prima, appunto, per la stampa 3D? Prima di essere biodegradate, queste sostanze potrebbero trovare di fatto un ruolo come contenitori, oggetti decorativi e quant’altro, riducendo il consumo di materiali con un maggior impatto ambientale.

 

Gestione 2.0

Oltre a packaging e stampa 3D, anche il digitale regala nuove opportunità contro lo spreco alimentare. Diverse realtà della Silicon Valley (e non solo) vedono nel settore una grossa risorsa per l’investimento, tanto che lo sviluppo di tecnologie in questa direzione ricopre ormai svariati miliardi di dollari. Pensiamo a software gestionali sempre più complessi e capaci di prendersi cura e rendere più efficiente la filiera produttiva o la distribuzione, per esempio. O a frigoriferi (o altri elettrodomestici) intelligenti che controllino costantemente i prodotti, evitandoci di vederli andare a male e allo stesso tempo di acquistare per errore qualcosa che già possediamo.

Non meno interessanti, gli esperimenti che operano sul fronte social. Uno dei più accessibili è frutto di una startup italiana: un’app, dal nome di Last Minute Sotto Casa, che pone in collegamento in tempo reale negozianti e potenziali clienti consentendo ai primi di smaltire gli alimenti in scadenza prima che sia troppo tardi, ai secondi di approfittare di offerte contribuendo allo stesso tempo a evitare gli sprechi. Un “impegno” piccolo che può però aiutare a creare maggiore consapevolezza e sensibilità verso il problema.