Ritratto di Federico Marchetti, il prestigiatore del capitalismo digitale italiano

Dal garage di Casalecchio di Reno all’Olimpo del lusso made in Switzerland, da startup del web ante litteram a società da 5,3 miliardi di euro: in vent’anni ne ha fatta di strada il gruppo Yoox, spesso definito l’Amazon italiano della moda. Dietro questa parabola perfetta c’è lui, Federico Marchetti, un modello per tutti i manager italiani alla ricerca di ispirazione ed esempio concreto. Il gioco di prestigio di far apparire dal nulla un unicorno – ovvero una startup che ha una valutazione superiore al miliardo di dollari – riesce a pochi e lui è tra questi. Ecco la storia di come c’è riuscito.

 

La stoffa dell’innovatore

L’inclinazione alla concretezza Marchetti ce l’ha nel Dna: romagnolo di Ravenna, è figlio di una impiegata della vecchia Sip e di un dipendente Fiat. Più avanti, della sua famiglia racconterà al “Financial Times”: “I miei genitori non mi incoraggiavano in alcun modo. Non ero guidato. Ma ero davvero, davvero, davvero bravo a scuola”.

Quando deve scegliere l’università non vuole sacrificare l’estate al mare per preparare il test di medicina e opta per la più “semplice” economia. Guarda subito a un mare più vasto e nel ’93 approda a New York con in tasca la laurea della Bocconi. L’Mba della Columbia University gli apre le porte della consulenza finanziaria, anche se in Lehman Brothers ci va, come racconta lui stesso, “non per fare il banchiere ma per imparare più cose possibili”.

Il rientro in Italia, a fine anni Novanta, è traumatico: lavora per una grande società di consulenti d’azienda, ma non è quello il suo destino. Dopo soli tre mesi si licenzia perché ha già in mente di sfruttare le potenzialità del web in un settore che ancora non è stato investito dall’innovazione, quello della moda.

 

L’intuizione di sposare web e moda

Marchetti vuole fare una cosa a cui nessuno aveva pensato nel ’99: rendere possibile l’acquisto di un abito da sera Valentino con pochi clic di mouse. I grandi brand del fashion sono confinati nelle loro boutique dorate e guardano alla nascente Rete con la puzza sotto il naso. I siti della maison principali – quando esistono – sono delle mere vetrine digitali che ripropongono i modelli sfilati in passerella. Di e-commerce in quel momento non c’è traccia perché non fa rima con lusso. Persino il neonato Amazon spedisce a casa soltanto i libri.

È il 2000 e la creatura di Marchetti prende forma con un nome bizzarro, Yoox: un tributo ai cromosomi x e y e all’inizio degli anni 2000, ma anche una strizzata d’occhio alla doppia ‘o’ di Google e del al codice binario. Il sostegno economico lo trova nell’ex amministratore delegato di Olivetti Elserino Piol, considerato da molti come il vero padre dello sviluppo di internet in Italia. In tre settimane il progetto che è ancora allo stadio di business plan ipotetico ottiene una cifra folle per l’epoca: tre miliardi di lire, un milione e mezzo di euro, per il 33% della futura società. Negli anni si aggiungeranno via via altri fondi.

Yoox nasce ufficialmente il 21 marzo 2000, anche se il primo ordine è del 21 giugno e arriva dall’Olanda. Di lì a poco sarebbero esplosa la bolla delle dot-com del 2001 e la crisi globale del 2008: il progetto messo in piedi da Marchetti regge al duplice urto e ne esce anzi rafforzato.

 

L’approdo in Borsa e la fusione con Net-à-Porter

Il 3 dicembre 2009 Yoox si quota sullo Star, l’indice di Piazza Affari dedicato alle società di medie dimensioni: il ricavato netto, calcolato sulla base del prezzo di offerta di 4,3 euro per azione, ammontava a circa 95 milioni di euro.. Quattro anni dopo il titolo passa sul Ftse Mib, l’indice delle 40 big del capitalismo italiano.

I fondi di venture capital che hanno sostenuto Marchetti nella fase di decollo, riducono progressivamente le proprie partecipazioni e nel 2015 Yoox si fonde con un altro gigante del commercio online di lusso, Net-à-Porter, controllato dalla Compagnie financière Richemont (che a sua volta controlla marchi del calibro di Cartier, Van Cleef & Arpels, Piaget e Montblanc).

 

Richemont piglia tutto

Il 21 gennaio 2018 l’annuncio choc: il gruppo svizzero Richemont si prende il 75% di Yoox che non possiede già, mettendo sul piatto 2,7 miliardi di euro e portando così la valorizzazione della società quotata a Piazza Affari a 5,3 miliardi di euro complessivi. Davanti a questi numeri la fama di dittatore alla Steve Jobs che nel frattempo Marchetti si è guadagnato passa del tutto in secondo piano. Parlando con il giornalista del “Financial Times” ha riconosciuto lui stesso di non essere amato dallo staff, ma ha anche spiegato, implicitamente, come un simile successo sia stato raggiunto: “Non importa se non mi amano: io non ho bisogno di amore, ho bisogno di risultati”.