Destinazione bioeconomia: il business alla prova della sostenibilità

Un’agricoltura e un’industria alimentare che si impegnino a riciclare, riutilizzare e trasformare i materiali di scarto e i sottoprodotti in nuove risorse. Un settore produttivo che punti tutto su risparmio energetico, consumi alternativi e impiego di energia pulita. Lo sviluppo di modelli business che creino nuove opportunità pur mantenendosi sul binario della sostenibilità. Sono queste le facce della bioeconomia, una logica dove gli elementi portanti sono le strategie e le materie prime messe a disposizione dalla natura e i risultati hanno il minor impatto possibile dal punto di vista ecologico e anche sociale.

Perché la bioeconomia

Da un lato la popolazione mondiale cresce incessantemente: si stima che i 7,6 miliardi di persone di oggi diventeranno 8,5 entro il 2030, 9,7 entro il 2050 e più di 11 miliardi entro il 2100 (dati ONU). Dall’altro, le risorse fossili (come il petrolio) sono sempre più limitate, i gas inquinanti (i cosiddetti gas serra) continuano a rappresentare una minaccia per l’ambiente e il cambiamento climatico procede inesorabile, con conseguente desertificazione del suolo e perdita degli habitat più fragili, come quello sottomarino.

La bioeconomia tenta di dare una risposta attiva a queste grandi sfide globali, con un approccio assolutamente integrato tra i diversi settori produttivi e interdisciplinare sul fronte della ricerca di soluzioni.

Come funziona

Pensiamo di poter generare l’equivalente dell’energia di un’intera centrale nucleare a partire dal biogas di un consorzio agricolo. Oppure di realizzare tutti i packaging dei nostri cibi da materiali realizzati a partire solo da matrici vegetali di scarto, come le bucce di mela, e lo stesso per ottenere le fibre tessili o la pelle sintetica per confezionare vestiti, calzature e quant’altro.

Per farlo diventare realtà, è necessario un impiego a 360 gradi delle biotecnologie. Con questo termine si definiscono quelle discipline che mettono a punto processi servendosi della frazione biodegradabile dei prodotti rifiuti e residui di origine biologica (sia vegetali che animali) provenienti da agricoltura e dalle industrie connesse, comprese pesca e acquacoltura, nonché la componente biodegradabile dei rifiuti urbani: le cosiddette biomasse, così come le definisce la direttiva europea di riferimento: 2009/28/CE.

 

L’Europa oggi e i nuovi obiettivi

A livello politico, c’è voluto tempo per mettere a punto una vera e propria strategia d’intervento e per isolare le principali priorità da raggiungere: una crescita smart, da realizzare attraverso un’economia fondata su nuove conoscenze scientifiche e una costante innovazione; una crescita sostenibile, più verde ed efficiente dal punto di vista energetico; una crescita più inclusiva, basata su un sistema per l’impiego che promuova sinergia e coesione sia sul piano territoriale che sociale.

Di recente l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), ha messo insieme in modo sistematico tutti le informazioni disponibili per permettere ai governi di mettere a punto nuove policy che consentano di raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030, e, proprio quest’anno, li ha integrati con nuovi materiali tecnici in merito all’impiego delle biomasse, agli impianti delle bioraffinerie, all’uso della biologia sintetica e dell’editing genetico.

Sono più di 50, oggi, i Paesi che hanno fatto propri questi obiettivi e che hanno realizzato strategie e policy specifiche per la bioeconomia. Ma è sempre più chiaro che non basta che ciascuno adotti linee guida per la buona riuscita del piano globale. Servono cooperazione e sforzo integrato: solo così è possibile ripensare davvero i consumi delle risorse naturali e, soprattutto, scongiurare l’ipotesi di entrare in conflitto con gli interessi e le necessità di tutti.